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L’addio di Ernesto Ruffini all’Agenzia delle Entrate: «Il governo chiama il fisco estorsore ma non scendo in politica»

13 Dicembre 2024 - 05:04 Alba Romano
ernesto maria ruffini federatore centro dimissioni ade
ernesto maria ruffini federatore centro dimissioni ade
Da giorni si parla delle sue intenzioni di fare il federatore del Centro. Ma lui nega: le dimissioni sono l'unico modo per rimanere me stesso

Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, lascia l’incarico. Perché con il governo Meloni «il clima è cambiato». Da giorni si parla delle sue intenzioni di scendere in campo per fare il “federatore” del centro. Ma lui oggi in un’intervista al Corriere della Sera dice che non c’è niente di vero: «Ci sono domande a cui si risponde con un sì o con un no. E la mia risposta è no. Avevo già smentito dopo i primi articoli di stampa. Lo ripeto. Non condivido il chiacchiericcio che scambia la politica per un gioco di società, le idee per etichette ed il senso civico per una scalata di potere. Non scendo e non salgo da nessuna parte». Nel colloquio con Fiorenza Sarzanini Ruffini dice che l’addio alle entrare «è l’unico modo per rimanere me stesso».

Le conseguenze

E ancora: «Ho letto però che parlare di bene comune sarebbe una scelta di campo. E che dunque dovrei tacere oppure lasciare l’incarico. La mia unica bussola in questi anni è stata il rispetto per le leggi e per il mandato che mi è stato affidato, perché il senso più profondo dello Stato è questo: essere al di sopra delle parti, servire il bene comune. Quello che è accaduto in questi giorni intorno al mio nome descrive un contesto cambiato rispetto a quando ho assunto questo incarico e anche rispetto a quando ho accettato di rimanere. Ne traggo le conseguenze». Anche se in tutti questi anni «non mi era mai accaduto. È stata fatta persino una descrizione caricaturale del ruolo di Direttore dell’Agenzia, come se combattere l’evasione fosse una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi».

Scendo e basta

«Se le cose stanno così, mi sono detto, che senso ha rimanere? Passo la mano, nessun problema. Scendo, ma non in campo. Scendo e basta. Il mio mandato era comunque in scadenza fra un anno», conclude. Perché «non essendo attaccato alle poltrone, non ho mai considerato il mio ruolo come una posizione da occupare, ma come un incarico da svolgere con lealtà, per servire non un partito o una parte politica ma le istituzioni, lo Stato, indipendentemente da chi sia al governo. È questa convinzione generale — che pensavo riconosciuta e condivisa — che mi ha aiutato a sostenere il peso». Sulle critiche del governo all’AdE: «Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore. Ho taciuto sinora, per senso dello Stato».

Il fisco demonizzato

Ma Ruffini lancia un avvertimento: «Attenzione però: se il fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato; tanto più che il livello della tassazione lo decide il legislatore, non l’Agenzia. Personalmente ho sempre pensato che a danneggiare i cittadini onesti siano gli evasori». Mentre sul suo possibile ruolo di federatore si schermisce: «Fatico a pensare che per cambiare le cose bastino i singoli. Per natura tendo più a credere nella forza delle persone che collaborano per un progetto comune. Affidarsi a sedicenti salvatori della Patria non è un buon affare. Dovremmo smetterla di considerare la politica come una partita a scacchi o un gioco di potere, perché dovrebbe essere un percorso fatto di discussioni, grandi ideali, progetti, coinvolgimento. Non un talent show culinario per selezionare uno chef in grado di mescolare un po’ di ingredienti, nella speranza che il piatto finale sia buono».

La lotta all’evasione

Infine, dice di essere orgoglioso «in primo luogo, del calo dell’evasione, che è scesa di circa il 30 per cento, e parallelamente dei record di recupero che abbiamo stabilito, fino a superare i 31 miliardi incassati in un solo anno. A volte sembra quasi che contrastare gli evasori sia una colpa e ci si preoccupi più di questo che degli ospedali che chiudono, delle scuole che non hanno fondi o della carenza di servizi perché le risorse sono insufficienti. Lo ripeto, se tutti contribuissimo in ragione della nostra condizione economica, tutti pagheremmo meno (molto meno) e avremmo la concreta possibilità di avere a disposizione servizi migliori».

La pandemia

Il momento più duro è invece stato «la pandemia. E per questo sono orgoglioso del sostegno economico erogato durante quel periodo, che ci è valso il soprannome di Agenzia delle uscite: in un momento drammatico, abbiamo consentito al governo di erogare le risorse direttamente sul conto corrente degli aventi diritto nell’arco di una decina di giorni appena. Solo di contributi a fondo perduto parliamo di 8 milioni di pagamenti e 25 miliardi immessi nell’economia reale. È la dimostrazione che la pubblica amministrazione può essere efficiente, che le somme raccolte con il prelievo fiscale sono a disposizione della collettività e che, evadendo, si danneggia indirettamente anche se stessi».

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