Il cardiochirurgo che ha trapiantato un cuore che batteva: «Suturare un organo che si muove regala tempo»
Gino Gerosa, 67 anni, è cardiochirurgo e dirige il centro Gallucci dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Due settimane fa ha effettuato il primo trapianto al mondo a cuore battente. «Abbiamo prelevato l’organo, inserito in un macchinario per il trasporto e reimpiantato nel ricevente. E il cuore non ha mai smesso di battere. Danni da ischemia da perfusione ridotti a zero e performance migliori. Eseguire le suture su un organo che si muove sembra complesso, ma il fatto che il cuore batta regala tempo», spiega oggi a La Stampa.
Il cuore artificiale
Nel colloquio con Laura Berlinghieri Gerosa spiega che la prossima frontiera è il cuore artificiale: «In Italia ogni anno ci sono 850 pazienti in lista d’attesa e riusciamo a soddisfarne meno della metà. Servono soluzioni: il cuore artificiale e quello del maiale». Perché non ci sono abbastanza cuori «grazie alla legge, sacrosanta, che obbliga i motociclisti a indossare il casco. Ai tempi dei primi trapianti di Gallucci, l’età media dei donatori era sotto i 18 anni, ora è oltre i 60». Lui è diventato cardiochirurgo dopo non aver passato il concorso per ufficiale medico: «Hanno perso la lettera e non mi hanno mai chiamato. Così mi sono iscritto a Medicina». All’epoca senza test: «Eravamo in 3 mila. Aperture indiscriminate mettono a rischio la formazione, ma i vecchi test non erano la soluzione. Potrebbero esserlo degli esami-filtro, ma non sempre un ottimo studente diventa un buon medico».
La cardiochirurgia
La prima operazione è stato un «bypass con la vena safena, 3º o 4º anno di specialità. Ci sono affezionato, anche perché quel paziente l’ho rioperato, da direttore a Padova». Il suo mestiere «è un lavoro totalizzante e ho rinunciato a molto, ma il rapporto coi pazienti compensa tutto. E la mia è una chirurgia ricca di speranza. Abbiamo sempre risposte valide e incidiamo sull’aspettativa di vita dei pazienti. La morte esiste, ma l’innovazione tecnologica è un’alleata». Infine: «Se la politica ascoltasse medici e infermieri, la nostra sanità sarebbe migliore».