«Forse nati e sepolti vivi tutti e due i figli di Chiara Petrolini»
Anche il primo figlio di Chiara Petrolini potrebbe essere stato seppellito da vivo. E questo smentirebbe la versione della studentessa di Vignale di Traversetolo in provincia di Parma, che aveva detto che era nato morto. Il dettaglio emerge dall’analisi delle autopsie dei due cadaveri ritrovati nel giardino della villetta. Depositate dal consulenti della procura di Reggio Emilia. Che indaga per omicidio. E ora l’accusa nei confronti della giovane potrebbe diventare sensibilmente più dura. Perché secondo la sua versione l’unico reato contestabile era la duplice distruzione di cadavere. Ora invece l’ipotesi dell’omicidio volontario diventa più concreta. L’autopsia infatti dice che il secondo era sicuramente nato vivo. E questo smentisce l’interrogatorio di Chiara del 10 settembre scorso.
L’autopsia del primo figlio di Chiara Petrolini
Petrolini aveva raccontato agli investigatori che «il bambino non era nato vivo, quindi l’ho sepolto nel mio giardino», avvolgendolo «con una salvietta». Sul secondo l’indagata aveva detto di aver scavato la buca da sola e in dieci minuti. L’inchiesta del procuratore Nicola D’Avino e dalla pm Francesca Arienti in base all’analisi del medico legale Valentina Bugelli e dell’antropologa forense Francesca Magli non fornisce certezze assolute. A causa dell’«assenza di strutture molli o tessuti cartilaginei». Ma nella relazione risulterebbe «del tutto prospettabile che la causa del decesso non sia da ascriversi a una Mef (morte endouterina fetale) ante partum». La nascita è avvenuta alla 40esima settimana. Ma per sapere se il suo cuore battesse o meno occorrerebbe la presenza di una «stria neonatale», ossia una linea di arresto di crescita nello smalto dentale.
La stria neonatale
La stria non è stata rilevata. Ma se il piccolo è morto subito dopo il parto può non avere avuto il tempo di formarsi. «Mi avevate chiesto se avevo già partorito in passato e ho risposto di no. In realtà sì. Un anno e mezzo fa», ha detto Petrolini agli investigatori. «Non avevo detto niente a nessuno perché era un periodo un po’ pesante per la mia famiglia e poi perché avevo sempre paura del giudizio della mia famiglia e delle persone», ha aggiunto. Intanto l’avvocato della giovane, Nicola Tria, ha chiesto una perizia psichiatrica — in corso — per vedere se sia afflitta da disturbi della personalità. Sempre la difesa ha presentato il ricorso in Cassazione contro la decisione del Riesame che ha stabilito il carcere.