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Bravi i Pinguini, epocale Marracash, noiosi Il Volo. E che disastro Tony Effe – Le recensioni delle nuove uscite della settimana

15 Dicembre 2024 - 21:23 Gabriele Fazio

Marracash – È finita la pace

Solitamente la storia si divide in capitoli. Se prendiamo in esame quella del rap, in un certo senso forse della musica italiana tutta, È finita la pace mette un punto fondamentale. Marracash esce con un intero disco, a sorpresa, senza 6-7 singoli e bordate social: aveva delle cose da dire, lui, da solo, senza featuring furbetti, come artista, come uomo, come cittadino, in tredici tracce, e le dice. È finita la pace completa la trilogia cominciata con Persona, in cui Marracash si fa a pezzi, si viviseziona, e proseguita con Noi, loro, gli altri (Targa Tenco miglior album) in cui Marracash si pone nel mondo, celebra le proprie sensazioni, combatte la guerra. In questo disco invece Marracash in qualche modo si risolve, arriva ad una fine, un punto appunto. Solo che, essendo Marracash «il king», la faccia sulla copertina di quel famoso libro sulla storia del rap italiano, alla fine dell’ascolto del disco sembra che sia un’intera epoca a raggiungere la luce in fondo al tunnel. Finisci di ascoltare e ti chiedi cosa mai ci sarà domani, cosa può mai succedere dopo È finita la pace. La soluzione ce la dà lo stesso rapper, milanese ma di fiere origini siciliane, che in coda all’ultimo pezzo Happy End dice (non rappa o canta, è proprio un parlato, un messaggio): «Questa bolla sta per scoppiare, stiamo entrambi per tornare alla realtà / Alle ipocrisie, alle maschere ma dopo la crisi e gli scontri / So chi sono e cosa voglio e che l’unico modo giusto è il tuo / Non esiste altra vittoria che essere sé stessi / Non esiste altro modo di essere sé stessi se non scegliere / È finita la pace, l’accondiscendenza. C’è una nuova pace / La consapevolezza, Fabio e Marracash / E alla fine un happy end». Fabio che scopre e certifica la propria essenza di artista, raggiunge una consapevolezza, dissipa quella nebbia dentro la quale si confondeva evidentemente con la figura di Marracash, come se avesse capito qual è il senso dell’una e dell’altra parte della propria anima.

Per questo, come in passato ma molto più che in passato, raggiunta questa certezza, può liberarsi e venirci incontro, parlare più apertamente anche del nostro mondo, puntare il dito contro la politica, contro la violenza concettuale subita dalle donne, lo stesso mondo del rap, che lui asfalta senza pietà, con banger mica male («Il rap italiano che non sa più come dire/Che non sa più cosa dire») ma, soprattutto, concettualmente. Perché almeno il 90% del rap italiano dinanzi a questo disco si vaporizza, perde del tutto ragione di esistere. Anche se il rap non è una cosa sola. Con che coraggio, per dire, alla fine dell’ascolto di È finita la pace si può passare a Tony Effe? Non è un paragone, Tony Effe è il niente assoluto rispetto alla musica, non avevamo bisogno di un magnifico disco di Marracash per giungere a questo inattaccabile assunto, intendiamo proprio la mancanza di volontà in un’intera generazione di rapper dalla street facile a muoversi in quella direzione. Una volontà che manca soprattutto perché è una strada piena di dossi e che ti fa rimanere assai basso in classifica, se non sei «il king» della scena, è chiaro. Marracash chiude i conti e si pone lì dove merita di stare, al di sopra di una visione discografica, libero dalle catene dell’industria. Un artista vero che infatti firma quella che è in tutto e per tutto un’opera d’arte. I brani di È finita la pace ti cadono addosso come una pioggia di pietre, sono epifanie rap che squarciano la realtà, visioni intoccabili, come quelle di Van Gogh, Kubrick o Maradona, artisti che hanno fatto delle cose, ognuno di loro nel proprio universo, che non sai esattamente da dove sono arrivate ma sai che nessuno le avrebbe potute far meglio. Per questo uno rimane inebetito dinanzi ad un’opera del genere, per questo, come avrete notato, non viene citato nemmeno il titolo di una canzone (anche se off-the-record consideriamo Gli sbandati hanno perso uno dei migliori pezzi rap italiani di…boh, sempre?). Perché quando l’arte è arte e non un codice di marketing, un modo come un altro per affermare la propria presenza tra i vivi, non c’è molto da dire se non stare a sentire. In silenzio. Mentre la storia fa il suo corso. Domani è un altro giorno, come sempre, ma, perlomeno nel mondo del rap, sarà un nuovo mondo, perché Marra ha scritto un manifesto, ha cambiato le regole del gioco, semplicemente aprendo una finestra sul proprio intimo universo.