«Amazon impara, P38 spara»: denunciato il figlio del terrorista Memeo. Il padre immortalato nel celebre scatto del ’77 in cui impugna l’arma
«Amazon impara, la P38 spara». Sono queste le parole scritte sulla parete di un magazzino di Amazon, a Milano, dal 35enne Francesco Savino Memeo. Si tratta del figlio Giuseppe Memeo, l’ex terrorista diventato simbolo degli anni di piombo per la foto, scattata da Paolo Pedrizzetti, che lo immortala nel capoluogo lombardo mentre punta una P38 contro gli agenti durante la manifestazione del 14 maggio 1977. Memeo jr è stato denunciato per minaccia aggravata al termine di un’indagine del comando provinciale di Milano, intervenuto dopo la denuncia presentata il 18 novembre scorso da un dipendente del colosso di e-commerce.
Memeo lavorava (tramite una coop) ad Amazon
La scritta è apparsa nella sede di via Toffetti. Tracciata con un pennarello nero, all’interno in un corridoio della filiale. In base alle indagini Memeo risulta aver lavorato per una cooperativa legata a quella sede. Durante le perquisizioni in casa i carabinieri hanno trovato gli abiti utilizzati quel giorno e hanno sequestrato il cellulare. L’uomo ha anche un precedente per resistenza e non risulta legato ufficialmente a sigle o gruppi.
Quella fotografia simbolo degli anni di Piombo
Francesco Savino è figlio di Giuseppe Memeo, il giovane che appare con il passamontagna, le gambe piegate e la pistola ad altezza d’uomo in via De Amicis il 14 maggio del 1977. In quella sparatoria, avvenuta al termine di un corteo davanti al carcere di San Vittore in solidarietà a due legali di Soccorso Rosso arrestati, perse la vita il vicebrigadiere Antonino Custra. Quello scatto è l’immagine simbolo degli anni di Piombo ed è stato fatto dal reporter Paolo Pedrizzetti, morto con la moglie nel 2013, in provincia di Novara, in un tragico incidente domestico. Per molti anni Memeo fu ritenuto il colpevole della morte del vicebrigadiere Custra, colpito alla fronte e spirato qualche ora dopo in ospedale. Ma le indagini sul fuoco aperto dal collettivo Romana-Vittoria di Autonomia Operaia portarono alla luce, anni dopo, un’altra storia.
Le indagini sulla morte del vice-brigadiere Custra
Riprese negli anni ’90, grazie ad alcuni pentiti, ebbero una svolta in altre fotografie trovate in una perquisizione nel 1987, nello studio di un altro fotografo. L’allora giudice istruttore Guido Salvini incrociando gli scatti finora usciti con quelli emersi da poco, che riprendevano tra l’altro i primi secondi dell’azione, permise l’individuazione di un altro gruppo di fuoco. La responsabilità cadde quindi a Mario Ferrandi, altro componente dei Pac. «Nel 1987 – raccontò al Giornale il giudice milanese Guido Salvini – mi ritrovai in mano l’immagine di Memeo, così cruda, ma anche così poco osservata. Mi chiesi chi fosse quel signore con l’obiettivo in mano, andai a interrogare i suoi colleghi presenti il 14 maggio in via De Amicis. Mi fu fatto quel nome: Antonio Conti. Ordinai una perquisizione: dentro un libro ritrovai gli scatti e da lì sviluppai una nuova inchiesta che portò all’individuazione dei responsabili di quel giorno di follia, in gran parte sfuggiti al primo processo». Nel maggio 1992 la Corte d’Assise condannò nove persone sui tragici fatti di quel 14 maggio 1977. Memeo fu comunque condannato per quel caso in concorso morale.
Memeo il Terun
Memeo, conosciuto come Il Terun negli anni Settanta, ha fatto parte dei Pac. il 16 febbraio 1979, assieme a Gabriele Grimaldi e Sebastiano Masala, uccise il gioielliere Pierluigi Torregiani, definito un «agente del capitalismo sul territorio». E fece parte, con Cesare Battisti il 19 aprile 1979, dell’omicidio dell’agente Digos Andrea Campagna, freddato con cinque colpi di rivoltella calibro .357 magnum. Il quel caso Memeo fece da “palo”. Fu arrestato il 9 luglio 1979 nell’abitazione di Maria Pia Ferrari, convivente di un altro militante dei PAC, Germano Fontana. Condannato a 30 anni di reclusione per duplice omicidio e sette rapine, in carcere ha preso le distanze dalla lotta armata. Dopo gli anni passati dietro le sbarre ha lavorato per l’associazione “Poiesis” di Milano, il centro della fondazione Exodus per la cura dell’Aids, ed è stato vicepresidente della cooperativa sociale “Il Fontanile”.