Netanyahu al Cairo per firmare l’accordo su Gaza? No, in Siria col capo dell’esercito israeliano – La foto
Accordo vicino, anzi vicinissimo. Da giorni si rincorrono le voci sulla firma «imminente» di un accordo per il cessate il fuoco a Gaza. Conferme sono arrivate negli ultimi giorni non solo dai mediatori (Egitto, Usa), ma anche – per una volta – da fonti di entrambe le parti in guerra, Israele e Hamas. Tanto che oggi per qualche ora s’è diffusa la voce che al Cairo, dove si sta negoziando l’accordo, fosse in arrivo Benjamin Netanyahu in persona. La notizia, battuta dalla Reuters, avrebbe indicato chiaramente la conclusione davvero imminente dell’intesa. Ma è stata presto smentita dal governo israeliano. «Al contrario di quel che vogliono i rumors, Netanyahu non è al Cairo», ha fatto sapere il portavoce del premier. Poi hanno smentito pure fonti egiziane. La seconda parte della storia è arrivata poco più tardi. Netanyahu era sì partito, ma in direzione opposta: non a sud, verso l’Egitto, ma a nord, verso la Siria. Il leader israeliano ha infatti preso parte a una visita senza precedenti sul lato siriano del Monte Hermon, l’altura che divide i due Paesi su cui le forze israeliane hanno sfondato dal giorno dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad. Con lui c’erano anche il ministro della Difesa Israel Katz, il capo di Stato maggiore dell’esercito Herzi Halevi e il capo dello Shin Bet (servizi segreti) Ronen Bar.
Israele oltre confine «per tutto il tempo necessario»
Visita dall’alto valore simbolico, insomma, impensabile sino a una manciata di settimane fa. «La cima del Monte Hermon rappresenta gli occhi dello Stato di Israele per rilevare minacce vicine e lontane», ha detto dalla vetta Katz, senza porre alcun limite temporale alla permanenza delle forze israeliane su quella porzione di territorio siriano: «Resteremo qui per tutto il tempo necessario. La nostra presenza qui sulla vetta dell’Hermon rafforza la sicurezza e aggiunge una dimensione sia di osservazione che di deterrenza nei confronti delle roccaforti di Hezbollah nella Valle della Beqaa in Libano così come dei ribelli a Damasco, che fingono di presentarsi con un’immagine moderata ma appartengono alle sette islamiche più estreme», ha affondato il neo-ministro della Difesa di Netanyahu. Parole pesanti nei confronti dell’Hayat Tahrir al-Sham di Abu Mohammed Al-Jolani, impegnatissimo in questi giorni a cercare di rassicurare l’Occidente – e la stessa Israele – sulle sue “buone intenzioni”. E che gettano molti interrogativi sul senso dell’offensiva militare che lo Stato ebraico sta conducendo da giorni in Siria, prendendo posizione nella zona oltre confine e bombardando siti e obiettivi militari nel Paese.
Il «cauto ottimismo» Usa sull’accordo per Gaza
Ciò non toglie, comunque, che tra i mediatori circoli ottimismo sulle chances di arrivare a un accordo di cessate il fuoco a Gaza, con la liberazione degli ostaggi israeliani e il via libera all’ingresso più ingente di aiuti umanitari nella Striscia. L’accordo è vicino, ha ribadito anche oggi il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa John Kirby, pur gettando acqua sul fuoco di eccessivi entusiasmi. «Crediamo che ci stiamo avvicinando, ma siamo anche cauti nel nostro ottimismo. Siamo già stati in questa posizione e non siamo riusciti ad arrivare al traguardo», ha ricordato realistico l’esponente dell’amministrazione Biden in un’intervista a Fox News.
Foto di copertina: Ministero della Difesa israeliano