L’ira di Meloni sugli stipendi dei ministri: «Lezioni dall’M5s che dava 300mila euro a Grillo? Anche no» – Il video
È una Giorgia Meloni sugli scudi, come d’abitudine, quella che s’è presentata oggi alla Camera, pur con la voce roca. La premier dopo aver presentato i suoi principali orientamenti in vista del Consiglio europeo di giovedì, ha ascoltato e preso nota degli interventi dei rappresentanti dei principali gruppi parlamentari, e poi è passata al contrattacco. Ghiotta occasione la sua presenza: gli esponenti delle opposizioni ne hanno approfittato per attaccarla o pungerla su temi non solo europei o internazionali, ma anche strettamente interni. Anche perché in parallelo in questi giorni è in dirittura d’arrivo (necessariamente) la Legge di bilancio 2025. Con annessi cortocircuiti e polemiche. Tra i casi che più hanno tenuto banco negli ultimi giorni, quello dell’emendamento proposto dalla maggioranza per equiparare gli stipendi dei ministri non eletti in Parlamento ai colleghi che lo sono, per un aumento netto di oltre 7mila euro. Dopo giorni di polemiche, ieri sera l’esecutivo ha ordinato la marcia indietro, pur con l’amaro in bocca. Oggi quel boomerang è stato ampiamente rinfacciato alla premier dalle opposizioni. A partire dal Movimento 5 stelle, che ha attaccato il governo a testa bassa per la figuraccia.
Lo scontro Meloni-Conte
La premier non ha apprezzato, e nelle repliche s’è sfogata. «Volevamo aumentare di 7mila euro lo stipendio dei ministri? No, l’emendamento proposto da alcuni parlamentari voleva equiparare quello dei ministri parlamentari a quello di chi non lo è, visto che fanno lo stesso lavoro e sarebbe normale avessero lo stesso trattamento», ha spiegato la premier. «Dopodiché – ha aggiunto – prendo atto che per alcuni colleghi dell’opposizione lo stipendio dei parlamentari è troppo alto per un ministro». Sferzata funzionale al contrattacco agli ex grillini. «Eviterei però su questo di farmi dare lezioni in particolare dai colleghi del Movimento 5 Stelle, perché è possibile che questa norma non vada bene, ma detto da quelli che hanno speso soldi degli italiani per dare 300.000 euro a Beppe Grillo, se consentite, anche no». Un riferimento al veleno al contratto di consulenza per la comunicazione che il Movimento ha affidato al fondatore dopo il suo passo indietro politico, prima della flagrante rottura consumatasi nelle scorse settimane. L’affondo ha mandato su tutte le furie il leader M5s Giuseppe Conte, che ha a sua volta ribattuto. «Il vostro obiettivo non è combattere le disuguaglianze, ma combattere nel Consiglio dei ministri per ministri e sottosegretari. È una vergogna la proposta di 7 mila euro in più al mese. Sono 5 volte lo stipendio di un’insegnante. Ma come vi permettete? E dice a noi che non accetta lezioni dal M5s? Noi da anni restituiamo 100 milioni alla collettività, tagliandoci gli stipendi», ha replicato l’ex premier in Aula.