«Assad ci ha lasciato morire di fame ma il futuro resta incerto». Lo spettro della povertà infinita sui civili siriani – Il reportage
Da Damasco – Che Bashar Al-Assad sia andato via portandosi dietro parte dell’oro e della valuta estera custoditi nella banca centrale siriana o no, poco cambia: i siriani erano e restano poveri e la situazione peggiora di giorno in giorno: il tasso di povertà, sottolineano diversi report, colpisce quasi il 90% dei siriani. Per le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, il World Food Programme la quasi totalità della popolazione non riesce a soddisfare i bisogni primari. Per l’International Rescue Committee il 90% dei siriani è sotto la soglia della povertà e «a causa del conflitto e delle sanzioni le famiglie non potrebbero sopravvivere senza aiuto umanitario».
«Ci ha lasciato morire di fame», spiega Lama Bannoura, cooperatrice di 53 anni, cristiana e – pur molto critica nei confronti Assad – molto incerta sul futuro da quando, su una macchina nel quartiere cristiano di Damasco, è apparsa la scritta: «Vi incontreremo presto cristiani». Accompagniamo Maher, trentenne impiegato, amico di Lama, a prelevare da un bancomat. «Giusto per essere sicuro, dovesse accadere qualsiasi cosa. Provo ad avere la mentalità aperta sul futuro, sto partecipando a vari incontri con persone di diversa fede e Natale sarà un grande test per i ribelli Hts (Hayat Tahrir al-Sham, traducibile con Organizzazione per la Liberazione del Levante ndr)». Al terzo tentativo riesce a prelevare. Quello che a noi sembra un gesto semplice, prelevare al bancomat, non lo è in Siria. Sui social circolano diverse voci, non confermate ufficialmente: che l’ex presidente si sia portato via gran parte della valuta estera e che il governo, sotto pressione delle sanzioni, abbia venduto gran parte dell’oro per sostenere il bilancio statale. Vale la pena ricordare che prima della guerra civile la Siria deteneva un vero e proprio tesoretto, con 25,8 tonnellate di moneta aurea.
Quanto è debole la valuta siriana
Di certo uno dei dati più preoccupanti, legato anche a questi sospetti, riguarda il grave indebolimento della valuta siriana. Il cambio, anche in questi giorni, è protagonista di forti oscillazioni. Per un dollaro, con l’avvento di Hts si è arrivati a pagare 30.000 lire siriane, per poi scendere fortunatamente intorno alle 11.000 di stamane, 17 dicembre. Per darvi un metro di paragone, prima che Assad scappasse veleggiava intorno agli 8500 e nel 2011, prima della guerra civile, era di 1 a 47. Alla ong Terre des Hommes Italia e al personale dell’albergo dove mi appoggio chiedo se le banche stanno pagando gli stipendi. La risposta è affermativa.
Il ruolo delle sanzioni
Sul popolo siriano ha gravato moltissimo l’embargo, imposto dagli Stati Uniti nel 2019. Trattasi del Ceasar Syria Civilian Protection Act, ovvero sanzioni contro il governo siriano, incluso Assad per crimini di guerra contro la sua popolazione. Quando un Paese è sotto embargo, come diversi studi dimostrano, non è Hezbollah a pagare o i politici iraniani, o Assad e i suoi. Per le Nazioni Unite e Human Rights Watch, pur indirizzato a punire il governo, il Ceasar Act ha creato gravi danni collaterali alla popolazione. Neanche i chemioterapici arrivano in Siria – se non, in modeste quantità, da Cina e India – poiché essi sono cosiddetti dual use, di doppio uso, ovvero potrebbero essere anche utilizzati per costruire esplosivi. Il prezzo della benzina, solo l’anno scorso, è aumentato del 167%, passando da 3000 a 8000 lire e stando a HNO, Humanitarian Needs Overview, da febbraio a settembre 2023 i prezzi dei beni di prima necessità sono lievitati dell’88%.
La situazione delle strutture mediche
La sanità poi, meriterebbe un capitolo a parte. Stando a un recente report di OCHA, che Open ha potuto leggere e relativo a questo mese di dicembre, le strutture mediche sono poche e quelle che ci sono non hanno strumenti e farmaci. A Raqqa, scrive lo stesso report, una settimana fa sono state distrutte le strutture mediche. Vado a visitare una delle pochissime cliniche, gestita da SARC e Terre des Hommes Italia, che continua ad operare nonostante il cambiamento nel Paese. Siamo a Sahnaya, a 30 km a sud di Damasco. «La cosa grave è la continua crescita del numero dei pazienti estremamente poveri – mi racconta il dottor Tareef Al Zaher – mi rattrista l’incapacità di aiutarli: servono strumenti per il laboratorio, latte per i bambini, farmaci. Se sono qui oggi è grazie agli aiuti esterni che non bastano più. Se scrivo una ricetta, ma usciti di qui i pazienti la buttano perché non hanno i soldi per le medicine o queste non ci sono, che senso ha? Che senso ha il mio lavoro?».
Nella foto: un’abitazione distrutta a Sahnaya, a 30 km a sud di Damasco.