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Alessandro Borghese: «La cucina gourmet costa troppo? Lavoro faticoso e al ristoratore va al massimo il 10%» – L’intervista

18 Dicembre 2024 - 12:40 Gabriele Fazio
Lo chef festeggia i dieci anni di «4 ristoranti», che riparte dal 21 dicembre tutte le domeniche su Sky, ricordando gli aneddoti più divertenti del percorso

480 ristoranti distribuiti per ogni singola regione italiana, 8 volte all’estero, 336 specialità, 1924 dolci, questi sono solo alcuni dei numeri raccolti da Alessandro Borghese con il suo 4 Ristoranti in questi primi dieci anni di vita, uno di quei format a tema culinario che ha avvicinato gli italiani alla gastronomia. Dal 22 dicembre tutte le domeniche alle 21:15, in esclusiva su Sky Uno e in streaming solo su Now, andrà in onda la decima stagione. Il format è sempre lo stesso, lo chef, 48 anni, nato a San Francisco ma cresciuto a Roma, figlio dell’attrice Barbara Bouchet e dell’imprenditore napoletano Luigi Borghese, sceglie una zona e quattro ristoranti da giudicare in altrettante cene con altrettanti rappresentanti delle quattro strutture. Si giudica in un taccuino menù, location, servizio, conto e special (il piatto che tutti devono cucinare, legato solitamente alla tradizione del luogo), i quattro ristoratori poi, l’uno di fronte all’altro, aprono i taccuini, svelano i voti, di solito rimangono profondamente feriti dai voti ricevuti e poi ci sono i voti di Borghese che, come recita uno dei più noti tormentoni della tv contemporanea, «Può confermare o ribaltare il risultato».

Si aspettava che 4 Ristoranti potesse compiere dieci anni di vita?

«No, non pensavo che sarebbe durato neanche un anno!»

Che ricorda di quel periodo?

«Erano anni di sperimentazione, erano gli anni in cui ho fatto Junior Masterchef, un prodotto eccezionale, forse troppo presto per quei tempi rispetto a Masterchef adulti. Quello dei giovani è arrivato in un momento dove forse era troppo presto capirlo, stavano cercando ancora di capire i grandi»

E poi arriva 4 Ristoranti

«Abbiamo individuato il format e l’abbiamo completamente stravolto, nasce come un prodotto che aveva come protagonisti i ristoratori senza la mia figura, ognuno andava nel ristorante dell’altro, mangiavano e parlavano del cibo del ristorante dell’altro. Non c’erano voti, non c’erano giudizi, non c’erano tormentoni, non c’erano freeze, non c’era niente di tutto ciò. Non c’era la mia figura, ossia la figura del cicerone che accompagna queste persone nei ristoranti e ha le competenze per poter interagire con gente che fa il cuoco o ha un ristorante e che ha a che vedere col cibo. Quindi individuato quel format, abbiamo iniziato a cucirmelo addosso»

Ti ricordi la prima puntata?

«Mi ricordo che non avevamo ben chiaro quale potesse essere un budget consono per una cena quando esci fuori con quattro persone. Entriamo in un ristorante di pesce, io mi sa che ho ordinato un plateau royale, una spigola al sale, mi sono bevuto due bottiglie di champagne, è arrivato un conto da 600 euro. Abbiamo capito che forse non era proprio la strada giusta e che era meglio aggiustare un attimo il tiro»

C’è una categoria che si odia di più dei ristoratori?

«Iniziano sempre piano…Il primo giorno, quando li incontro per la prima volta in riunione, specialmente se siamo in un contesto raccolto, quindi in una città piccola dove un po’ tutti si conoscono, è tutto un “Oh caspita, hanno scelto pure te! Bello! Non ci credo!”»

Il secondo?

«Il secondo giorno cominciano a studiarsi e quando arriviamo al quarto giorno io dico: “Stasera c’è il tavolo del confronto, nessuno di voi ha fatto strategie, vero? Tutti voi avete detto la verità, siete stati tutti onesti? Sì? Perfetto, adesso tiriamo fuori i taccuni: allora, Simone, quanto hai dato al menù di Francesco?”. Vedi che Francesco guarda in aria, si sente in colpa, perché fino all’altro ieri finiva la cena e andavano fuori a bere insieme, si davano le pacche sulle spalle. “6? No, Francesco. Ah no? – E continuano a guardarsi – 5? No. 4? Si, quattro”. E poi lì c’è il gelo»

C’è un piatto che in questi dieci anni ti ha particolarmente colpito?

«Tanti, questo show è molto utile per il mio bagaglio da cuoco. Può essere un ingrediente, può essere una ricetta, può essere un metodo di cottura o una tradizione. Nell’ultima stagione sono stato nel ristorante di un ragazzo che è uno di quelli che vuole fare cucina contemporanea e mi ha presentato un’idea molto interessante, questo broccolo fiolaro con rognone di coniglio e bottarga. Nella mia testa quando l’ho letto sul menù ho detto: “ah, interessante questo piatto”. L’ho mangiato, era fatto male. Però c’è un’idea dietro interessante che io adesso andrò a sviluppare»

È uno show che si presta particolarmente ai fuori onda, so che ne sono successe di tutti i colori…

«Uno a Catania ha sbagliato a cucinare il pesce ed è scappato, non voleva più tornare in cucina. I camerieri mi hanno chiesto di andarlo a recuperare al porto. La puntata sui crudi di pesce a Bari mi sono divertito tanto, un ristorante mi ha portato il piatto e mi ha detto: “questo è buono per le tue pupille gustative!” ed io già lì ero piegato da arrivare sul pavimento. Poi mi porta le ostriche di Bari, io lo guardo e gli dico “le ostriche a Bari non ci sono”. “No Chef, queste in effetti me le ha prese un amico mio che è di Manfredonia, però io poi le ho prese e le ho messe nell’acqua di Bari e quindi le vendo come ostriche baresi. Chef, adesso non esageriamo, anche San Nicola è russo ma è diventato patrono di Bari. L’abbiamo importato”»

Anche le puntate all’estero sono molto divertenti, vero?

«Si, l’italiano all’estero da il meglio di sé. A Fuerteventura arriviamo nel ristorante del vincitore per premiarlo, saranno state le otto/le nove di sera, era buio, e troviamo lui fuori con la moglie e lo staff che ci aspettava per la premiazione. Il regista fa “ma non c’erano i figli piccoli?”. Ci giriamo e aveva chiuso tutti e quattro i figli in cucina e noi li vedevamo dalla vetrata a destra, che urlavano. Li aveva chiusi là dentro perché non voleva essere disturbato dai loro pianti durante la premiazione, quindi li ha lasciati per venti minuti tutti e quattro che piangevano là dentro e noi facevamo la premiazione con questi ragazzini con le lacrime aggrappati ai vetri»

Sarebbe interessante fare 4 Ristoranti ma tra stellati Michelin?

«Sarebbe interessante ma dubito che qualcuno voglia partecipare» (e fa il gesto con la mano della fifa)

Ne avresti da giudicare?

Un ristorante è sempre un ristorante, che poi abbia stelle o non stelle è sempre un ristorante.

Si parla tanto dei prezzi della cucina gourmet…Costa troppo?

«Ma allora non dovrebbero esistere la Lamborghini, la Ferrari… ci deve essere una fascia di prezzo per qualsiasi persona. Nei ristoranti gourmet il servizio è di tutt’altro livello, la materia prima è di un certo tipo, l’impegno all’interno delle cucine è di uno staff qualificato di altissimo livello. Poi i costi della ristorazione oggi sono cambiati totalmente: il costo delle materie prime, della corrente, della luce, il costo del lavoro del personale…Rimane veramente poco attaccato al ristoratore, quindi quando si pensa che nella ristorazione ci si arricchisce è completamente sbagliata come cosa»

Lato cliente sembra che ci sia una grande economia dietro l’alta cucina, specie negli ultimi anni…

«Nella ristorazione si fa tanta fatica, è un lavoro di passione, di cuore, di pancia, anche se fai l’imprenditore ristorativo come lo faccio io. È  un lavoro faticoso dove alla fine i costi ci sono e i costi vanno tutti sul piatto, parliamoci chiaro: qualsiasi cosa in un ristorante finisce sul piatto del cliente e se sei un bravo ristoratore, rimane attaccato l’8%, il 10% massimo. Mi rendo conto che però è pure una questione di cultura, in Francia si mettono i soldi da parte e portano la famiglia intera in un tristellato a fare un’esperienza, hanno quello di cultura, noi non ce l’abbiamo. Ci siamo sempre chiesti: “Perché devo pagare 400 euro per mangiare qua, quando da Peppino O’ Zozzone con venti sacchi ho mangiato una gricia della Madonna?”. Sì, va bene, certo, ma sei libero di fare quello o di fare un’esperienza che è diversa che non posso fare tutti i giorni. Da Peppino O’ Zozzone ci vado tre volte a settimana: una volta la gricia, una volta la cacio e pepe, una volta la amatriciana. Lì ci vado una volta, magari per un’occasione speciale e spendo quello che devo spendere. Poi incide il vino, il servizio, le posate, i bicchieri, i bicchieri si spaccano, le rotture, i tovagliati, la lavanderia e gli affitti che sono diventati esagerati…è lunga la canzone»

480 ristoranti in 10 anni da nord a sud, dove si mangia meglio?

«In Italia si mangia bene dappertutto, perché per fortuna abbiamo una cultura gastronomica, da nord a sud, che ci regala dal  Pani ca mèusa fino agli gnocchi di prugne, su in Alto Adige. Non è retorica, è la verità»

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