Ponte sullo Stretto, la denuncia di Legambiente: «Drena risorse al Sud e assorbe l’87% dei finanziamenti per le infrastrutture»
«L’aspetto drammatico è che oltre l’87% degli stanziamenti infrastrutturali fino al 2038 sono dedicati al Ponte sullo Stretto di Messina». Questo è uno degli elementi che spicca nell’edizione 2024 del rapporto Pendolaria con cui Legambiente analizza lo stato dei trasporti pubblici italiani. L’Ong denuncia un’attenzione alle grandi opere che «distoglie l’attenzione dai veri problemi di chi viaggia in treno ogni giorno» e certifica un ritardo dell’Italia nel potenziare il trasporto pubblico, che nel 2023 non è ancora tornato al numero di passeggeri del 2019 e continua in molte città a essere molto indietro rispetto ad altre realtà europee paragonabili. Tra gli effetti di questo fenomeno ci sono la motorizzazione record degli italiani – che si confermano primi in Europa per auto in rapporto alla popolazione – e il relativo inquinamento.
«Il ponte sullo Stretto drena risorse»
«Il progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina sta drenando risorse fondamentali per il Sud», si legge nel rapporto. «Lo scorso anno, 1,6 miliardi di euro sono stati dirottati dalla quota dei Fondi per lo sviluppo e la coesione destinati direttamente alle regioni Calabria e Sicilia, mentre ora sono state alleggerite ulteriormente – da 9,3 a 6,9 miliardi – le spese a carico dello Stato, aumentando da 2,3 a 7,7 miliardi il contributo del fondo per lo sviluppo e la coesione». Legambiente denuncia una concentrazione eccessiva di fondi destinati al Ponte sullo Stretto, «lasciando irrisolti problemi cronici come le linee chiuse o i servizi sospesi da oltre un decennio». E poco può fare l’aumento di 120 milioni al Fondo Nazionale Trasporti previsto nelle bozze della legge di bilancio. Lo stanziamento è passato dal da circa 6,2 miliardi di euro nel 2009 a 5,2 miliardi nel 2024 (-16%). Una diminuzione ancor più marcata (-36%) se si tiene conto dell’inflazione.
Le linee critiche
Tra le linee che richiedono investimenti, Legambiente indica quelle che presentano gli aspetti più critici. «Le linee ex Circumvesuviane, segnata da avarie, soppressioni, tagli, sovraffollamenti; la Roma Nord-Viterbo che nel 2024 ha visto oltre 5 mila corse soppresse, la Milano-Mortara-Alessandria, che serve 19 mila persone al giorno, ed è caratterizzata da guasti frequenti e ritardi, e la Catania-Caltagirone-Gela di cui una tratta, la Caltagirone-Niscemi-Gela, è sospesa da ben 13 anni e mezzo. Per la Roma-Lido si vede un leggero miglioramento ma sono ancora molti i problemi dei pendolari su questa linea».
«Le grandi opere distolgono l’attenzione dai veri problemi»
Al di là dei casi particolari, il divario infrastrutturale italiano rispetto ai maggiori Paesi europei si rivela profondo. Secondo quanto rileva il rapporto, questo non riguarda le grandi opere, spesso al centro del dibattito pubblico negli ultimi trent’anni. Il vero problema è la carenza di reti di trasporto pubblico efficienti e capillari nelle aree metropolitane del Paese. Nel complesso, le città italiane dispongono di appena 269,8 chilometri di linee metropolitane, un valore ben distante dai 680,4 km del Regno Unito, dai 657,2 km della Germania e dai 615,6 km della Spagna.
In tutta Italia ci sono meno metropolitane che a Madrid
A titolo di confronto, il totale delle metropolitane italiane risulta inferiore a quello di singole città come Madrid (293 km) o paragonabile a Parigi (245,6 km). La situazione non migliora sul fronte delle tranvie, dove l’Italia conta 397,4 km di linee operative, meno della metà rispetto agli 878,2 km della Francia e lontanissima dai 2.044,5 km della Germania. Anche le ferrovie suburbane segnano un ritardo significativo. La rete italiana si estende per 721,9 km, un dato già in calo per via della recente dismissione parziale della Circumetnea. La Germania, invece, vanta 2.041,3 km di ferrovie suburbane, seguita dal Regno Unito con 1.817,3 km e dalla Spagna con 1.442,7 km.
Un Paese a misura di auto
Il risultato di trasporti pubblici insufficienti è che le città italiane continuano a fare i conti con tassi di motorizzazione ben al di sopra della media europea, segno di una forte dipendenza dall’auto privata e di una carenza di infrastrutture per la mobilità sostenibile. Tra i dati più allarmanti, spiccano Catania con 790 auto ogni 1.000 abitanti, Perugia con 772 e Torino con 693. Valori di molto superiori a quelli registrati in grandi città europee come Madrid (360), Londra (351), Berlino (337) e Parigi (250), dove invece si registra un deciso calo nell’uso dell’auto privata a favore di trasporto pubblico e bicicletta.
Poca integrazione tra trasporto pubblico e mobilità dolce
A Parigi, prosegue Legambiente, dal 1990 l’utilizzo delle auto è diminuito del 45%, mentre il trasporto pubblico è cresciuto del 30% e l’uso della bicicletta è aumentato di dieci volte. In Italia, al contrario, il tasso medio di motorizzazione si attesta a 682 auto ogni mille abitanti, con un 30% in più rispetto a Francia, Germania e Spagna. La causa principale è attribuita nel rapporto alla mancanza di interconnessioni tra trasporti pubblici locali, mobilità dolce e infrastrutture ciclabili, che penalizza l’integrazione dei trasporti urbani e la riduzione dell’uso dell’auto. Le conseguenze di questa situazione si riflettono direttamente sui livelli di inquinamento atmosferico e sulla salute pubblica. Nel 2023, 18 città italiane hanno superato i limiti giornalieri di PM10.
Immagine di copertina: ANSA / ALESSANDRO DI MEO