Open Arms, in arrivo la sentenza su Salvini. Le tappe, il processo e cosa rischia il ministro
Domani, venerdì 20 dicembre, presso la casa circondariale “Pagliarelli” di Palermo verrà emessa la sentenza del processo a carico di Matteo Salvini per il caso Open Arms. Il vicepremier e titolare del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che all’epoca dei fatti ricopriva il ruolo di ministro dell’Interno, è accusato di sequestro di persona plurimo e rifiuto di atti d’ufficio dopo aver impedito per 19 giorni lo sbarco di 147 persone, tra cui minori, soccorse in tre distinte operazioni dall’organizzazione non governativa spagnola nell’agosto del 2019.
Cosa rischia Salvini: assoluzione o condanna?
La procura di Palermo ha chiesto nei suoi confronti una condanna di sei anni di carcere. Per la procuratrice aggiunta Marzia Sabella, sotto scorta insieme agli altri due giudici che rappresentano l’accusa dopo la valanga di insulti e minacce di morte ricevute sui social, «le convenzioni internazionali sono chiarissime – si legge nella richiesta di condanna – Non si può chiamare in causa la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare. Ecco perché i migranti andavano soccorsi, concedendo subito un porto sicuro». Oltre alla richiesta dei giudici, i legali di alcuni dei naufraghi hanno chiesto anche un risarcimento danni per i loro assistiti per un totale di oltre un milione di euro. Il verdetto sarà un’assoluzione o una condanna, ma il ministro dei Trasporti è stato chiaro: anche in caso di condanna lui non si dimetterà.
Lo scorso 14 settembre, il leader della Lega si era difeso dalle accuse dei magistrati con un video sui social dichiarandosi «colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani», fornendo, però, una ricostruzione parziale dei fatti. Negli scorsi giorni ha inoltre ribadito di essere fiducioso nella magistratura. «Voglio credere che l’Italia sia un Paese normale, e in un Paese normale chi difende i confini non viene condannato», la dichiarazione di Salvini. Intanto, il centrodestra e la destra italiana e pure europea è scesa in campo in difesa del ministro. «Tutto il partito è al fianco del suo leader ed è pronto alla mobilitazione in caso di condanna», ha affermato il vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Mentre i Patrioti per l’Europa – gruppo politico di destra ed estrema destra al Parlamento europeo di cui fa parte la Lega – hanno manifestato il loro sostegno in vista del processo presentandosi a Bruxelles con una t-shirt con la scritta «Colpevole di aver difeso l’Italia». Ma come siamo arrivati fino a qui?
Il contesto del caso Open Arms
Nel 2019 Salvini è a capo del Viminale nel primo governo giallo-varde guidato da Giuseppe Conte. Ad agosto dello stesso anno il Senato approva il “decreto sicurezza bis” (“disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”) voluto fortemente dal ministro, e considerato da più parti controverso, che stabilisce, tra le altre cose, «la limitazione o il divieto di ingresso e di transito o la sosta di navi nel mare territoriale per generiche ragioni di ordine e sicurezza». Ed è proprio su tale disposizione, e su un approccio duro nei confronti dell’immigrazione e a favore dei “porti chiusi”, che il titolare del Viminale – di concerto con il ministero della Difesa e delle Infrastrutture – vieta l’ingresso nelle acque territoriali della nave umanitaria spagnola. Nell’agosto dello stesso anno la Open Arms è protagonista di tre salvataggi al largo della Libia. Ma riceve il divieto d’ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali da parte della autorità italiane. I legali dell’organizzazione spagnola presentano così ricorso al tribunale per i minori di Palermo chiedendo lo sbarco dei migranti non ancora maggiorenni e presentano la prima denuncia. La nave umanitaria intanto naviga verso Lampedusa e continua a chiedere a Malta e all’Italia l’assegnazione del porto sicuro. Contro il reiterato no del Viminale la Ong ricorre al Tar del Lazio, che sospende il decreto interministeriale firmato da Matteo Salvini, Danilo Toninelli (Trasporti) ed Elisabetta Trenta (Difesa).
Lo sbarco dopo 19 giorni della nave Open Arms
È il 15 agosto e l’imbarcazione può entrare nelle acque territoriali. Ma una volta arrivata fino alle coste di Lampedusa, e richiesto nuovamente il permesso ufficiale di entrare nel porto, Salvini firma da solo un nuovo decreto di ingresso, non supportato dalla ministra Trenta, e impedisce così lo sbarco sicuro. La Open Arms presenta così un esposto alla Procura di Agrigento sostenendo che, a dispetto della decisione del giudice amministrativo, il ministro della Lega continua a negare l’ingresso nelle acque italiane. Scoppia anche un caso politico sulla vicenda: l’allora presidente del Consiglio, il pentastellato Conte, scrive due lettere al ministro del suo governo per criticare «il modo con cui ha gestito il caso» e dopo «avere alterato» una richiesta fatta dallo stesso, ovvero di far scendere sulla terraferma i minori a bordo.
Il 20 agosto, dopo 19 giorni, arriva l’autorizzazione a sbarcare per le 83 persone migranti ancora sulla Open Arms: 40 sono state evacuate in precedenza per problemi sanitari e psicologici, 16 in qualità di parenti-accompagnatori, mentre a 27 minori è stato consentito di scendere dall’imbarcazione. La decisione è arrivata dall’allora procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, dopo essere salito a bordo per un’ispezione medica allo scopo di verificare le condizioni fisiche e psichiche. «Tutte le persone a bordo evidenziando ragioni di sicurezza non consentono di attendere un provvedimento di sequestro emesso dal Giudice, posto che le persone ancora a bordo della nave si trovano in condizioni psicologiche assai critiche (…) con pericolo per l’incolumità dei migranti, dell’equipaggio e delle Forze di polizia che vigilano sulla sicurezza in mare (…) dispone il sequestro preventivo dell’imbarcazione Open Arms», si legge nelle carte.
La vicenda processuale: 3 anni e 24 udienze
La vicenda processuale inizia nel novembre del 2019. La Procura di Agrigento avvia accertamenti. L’esito delle indagini e l’individuazione della responsabilità nel ministro Salvini impongono l’iscrizione nel registro degli indagati del leader leghista per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio in concorso con il suo capo di Gabinetto Matteo Piantedosi. Per competenza le carte vengono trasmesse ai pm di Palermo – il capoluogo è sede del tribunale dei ministri – che poi formula l’imputazione per Salvini mentre archivia per Piantedosi. Si tratta di un processo unico nel suo genere, che vede un ministro imputato per azioni compiute in relazione alla sua carica. A fine luglio del 2020 il Senato autorizza – con 149 sì e 141 voti contrari – il tribunale dei ministri di Palermo a procedere nei confronti del leader della Lega (il 26 maggio la Giunta per le immunità aveva respinto la richiesta). Tra gennaio e aprile 2021 si tengono le udienze preliminari al termine delle quali il giudice per l’udienza preliminare del capoluogo siciliano, Lorenzo Jannelli, decide di rinviare a giudizio l’ex ministro dell’Interno, accusato di sequestro di persona plurimo e rifiuto d’atti d’ufficio nel caso della nave umanitaria spagnola.
Il 14 settembre la Procura chiede la condanna di Salvini a 6 anni di carcere per «l’intenzionale e consapevole spregio delle regole e diniego consapevole e volontario verso la libertà personale di 147 persone», dicono i pm Gery Ferrara, Giorgia Righi e l’aggiunta Marzia Sabella. Se sia stato un atto amministrativo o politico, è il nodo del processo. Circa un mese dopo l’arringa finale di Giulia Bongiorno, avvocata del ministro e senatrice leghista (ministra per la Pubblica amministrazione proprio nel Conte 1), si è chiusa con la «richiesta di assoluzione» per il suo assistito. In quell’occasione la legale ha ripercorso i fatti puntando il dito su quanto fatto dalla Ong. «Nell’agosto del 2019 il ministro Salvini stava combattendo una battaglia, ma certamente non contro i migranti che sono stati assistiti e tutelati. Una battaglia contro chi confonde le pretese e i diritti, ma usare a sproposito il termine diritto è molto pericoloso: non esiste il diritto di “bighellonare” o di scegliere come, quando e dove fare sbarcare i migranti e quali; non esiste il diritto di ignorare offerta d’aiuto», è stata la dichiarazione finale dell’arringa difensiva. Dopo 3 anni di processo, per un totale di 24 udienze che hanno visto l’audizione di 45 testimoni, si attende ora la sentenza.
Foto copertina: ANSA / Mourad Balti Touati