Il ministro Valditara spiega perché chiede 20 mila euro allo scrittore Lagioia: «Confonde la critica con l’insulto»
Giuseppe Valditara non ha intenzione di chiudere la querelle con Nicola Lagioia. In un’intervista a La Stampa il ministro dell’Istruzione spiega perché lo ha portato davanti a un tribunale civile per la sua partecipazione a Chesarà di Serena Bortone. ««Scriveva Francesco Bacone: “calunniate senza timore: qualcosa rimane sempre attaccato”. Ogni persona corretta, e pure il pensiero liberale, distingue nettamente fra la critica politica e l’offesa e l’ingiuria, tanto è vero che qualsiasi ordinamento liberale prevede sanzioni penali e civili contro colui che diffama o ingiuria», esordisce nel colloquio con Flavia Amabile.
Il diritto di critica e l’insulto
Piuttosto, sostiene il ministro, «ci sono molti politici e giornalisti che confondono il diritto di critica, sacrosanto, con quello di insulto. Il primo attiene ad una libertà costituzionalmente garantita, il secondo alla violazione di un principio di rispetto della persona, altrettanto costituzionalmente garantito». Valditara respinge l’accusa di essere permaloso: «È curioso che in passato illustri segretari democratici come D’Alema e Renzi abbiano sporto numerose querele senza che la stampa di sinistra si indignasse. Forse l’ingiuria è un metodo di lotta politica riservato alla sinistra».
Valditara dice anche che Lagioia ha rifiutato la mediazione: «In quella sede mi sarebbero bastate le sue scuse. A questa mediazione Lagioia non si è presentato. Ha dichiarato di non aver ricevuto la comunicazione: se non fosse stata inviata non sarebbe stato possibile procedere oltre. Come risulta dagli atti, la raccomandata è stata regolarmente spedita al suo indirizzo. A questo punto non restava che la causa civile con una richiesta di risarcimento, peraltro assai modesta, di 20 mila euro, che, se il giudice riterrà di riconoscere, devolverò a qualche scuola che fa programmi di recupero per giovani immigrati che non conoscono la nostra lingua».
Il tweet
Sul tweet accusato di sgrammaticatura sostiene che «ben tre illustri linguisti hanno a suo tempo pubblicamente dichiarato che quel tweet era corretto dal punto di vista grammaticale. Fra questi addirittura il presidente onorario della Crusca. Lagioia non si è limitato a sostenere che il tweet era sgrammaticato – opinione quanto meno discutibile, ma che ovviamente non sarebbe un attacco alla persona– ma che io proprio non conoscerei la lingua italiana. L’affermazione appare come una offesa del tutto gratuita, e pure falsa e del tutto inconferente con l’oggetto del dibattito in cui è stata pronunciata».
E aggiunge che l’avvocato che lo segue «non è pagato dal ministero, ma da me. Descrivermi come un “potente” che prende di mira un “poverino” è demagogia che altera la realtà dei fatti. Non controllo la magistratura, non controllo i giornali – che anzi in alcuni casi hanno fatto di Lagioia un martire-, non uso soldi pubblici, ma pago di tasca mia. Infine, se si ha fiducia nella magistratura non vedo il problema. Lagioia potrà dimostrare le sue ragioni».