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Rimpatri e Paesi sicuri, l’Ue prepara la stretta sull’immigrazione: così può rinascere il modello Albania

19 Dicembre 2024 - 05:59 Simone Disegni
giorgia meloni ursula von der leyen commissione europea
giorgia meloni ursula von der leyen commissione europea
Il 2025 sarà l'anno delle nuove regole sull'immigrazione? La Commissione pronta a presentare le sue proposte entro marzo. Open ne ha parlato con gli eurodeputati responsabili dei dossier

Col ritorno al potere di Donald Trump l’Europa e gli Stati Uniti rischiano di allontanarsi? Sul commercio, probabilmente. Sulla politica estera, forse. Ma c’è un terreno su cui i due grandi blocchi dell’Occidente si avviano a procedere sulla stessa linea, se non a braccetto: quello dell’immigrazione. Su entrambe le sponde dell’Atlantico, se tutti i segnali di queste settimane saranno confermati, la parola chiave del 2025 sarà «rimpatri». Trump non si cura come noto del politicamente corretto, anzi lo fa volentieri a pezzi, e ha promesso in campagna elettorale – e confermato dopo la vittoria – di voler dar vita non appena rientrato alla Casa Bianca alla «più grande operazione di espulsione di tutti i tempi». Nel suo mirino c’è un’enorme platea di migranti che vivono negli Usa senza documenti in regola, stimata in circa 11 milioni di persone, e Trump ha ribadito anche di recente di voler dispiegare anche l’esercito per mettere in opera il suo piano. In Europa i toni sono meno radicali, ma la direzione di marcia pare del tutto affine. Da un capo all’altro del continente, d’altra parte, i partiti che propongono la linea dura sui migranti la fanno da padrona, o entrando direttamente al governo (dall’Italia all’Ungheria, dall’Austria all’Olanda) o condizionandolo pesantemente da fuori (Francia e Germania, quest’ultima in procinto di svoltare a destra alle elezioni anticipate di febbraio). Ora la nuova Commissione von der Leyen, che ha già ampiamente introiettato i nuovi equilibri politici (14 Commissari su 27 del Ppe, altri tre, da frange ancor più a destra), si appresta a passare dalle parole ai fatti, costruendo l’arsenale giuridico che consenta ai governi europei di applicare «in scioltezza» la nuova parola d’ordine: rimpatri.

Così la Commissione accontenta i capi di governo

Urge mettere a punto «un quadro giuridico aggiornato per facilitare, aumentare ed accelerare i rimpatri dall’Ue, con particolare attenzione al consolidamento del concetto di Paesi di origine sicuri», mandavano a dire non più di due settimane fa da Roma Giorgia Meloni e Viktor Orbán, facendo eco alle conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo. Detto fatto: lunedì Ursula von der Leyen ha preso carta e penna e ha illustrato ai capi di Stato e di governo dei 27 tutti i passi che la Commissione sta compiendo per agevolare il loro lavoro. Un vero e proprio cantiere aperto che ha tre corni principali: gli accordi con i Paesi terzi, il sostegno operativo e finanziario agli Stati membri più “esposti”, la messa a punto di nuovi strumenti giuridici. Sul primo versante i modelli da seguire sono la Tunisia – con cui la partnership negoziata nel 2023 da Meloni e von der Leyen ha portato a una riduzione degli arrivi dell’80%, esulta la presidente della Commissione – e la Turchia, dove von der Leyen è tornata martedì con un assegno da 1 miliardo di euro per «la gestione della migrazione e delle frontiere, compresi i rimpatri volontari dei rifugiati siriani». Sul secondo versante, la Commissione sta «attivamente accompagnando gli Stati membri in vista dell’entrata in vigore del nuovo Patto con orientamenti e finanziamenti». Ma le novità più ghiotte per i governi a trazione destra dell’Unione – a partire da quello di Giorgia Meloni – stanno nei nuovi strumenti giuridici in arrivo nei prossimi mesi.

Giorgia Meloni Viktor Orban Italia Ungheria
Giorgia Meloni e Viktor Orbán a Palazzo Chigi lo scorso 4 dicembre (Ansa/Filippo Attili)

Rimpatri e Paesi sicuri: ecco lo scudo Ue

«Stiamo accelerando la revisione del concetto di Paese sicuro», annuncia nella lettera ai leader von der Leyen, «al fine di verificare se servano modifiche al regolamento», quello del Patto asilo e migrazione che l’Unione europea ha varato dopo anni di estenuanti negoziati solo la scorsa primavera. Il nuovo Patto, per la verità, entrerà in vigore solo a giugno 2026, ma von der Leyen ha fretta di accontentare i suoi “azionisti di maggioranza”, cioè i governi. «Abbiamo già chiesto all’Agenzia Ue per l’Asilo di accelerare la sua analisi dei Paesi terzi specifici che potrebbero essere designati come Paesi sicuri di origine e come Paesi terzi sicuri al fine di elaborare liste Ue», annuncia la presidente della Commissione. Musica per le orecchie di Giorgia Meloni, che proprio sullo scoglio dei Paesi sicuri ha visto arenarsi il progetto-bandiera dei centri di smistamento in Albania. Ai leader e alle opinioni pubbliche von der Leyen consegna pure un altro impegno concreto e “misurabile”: la revisione della direttiva sui rimpatri, su cui l’ultimo Consiglio europeo aveva chiesto di procedere «con urgenza», sarà presentata prima del prossimo vertice dei leader, ossia entro il 20 marzo. Ultimo annuncio dal forte sapore politico: la Commissione sta lavorando alacremente per «vestire correttamente» il progetto di esternalizzazione della politica migratoria che in Italia fa rima con Albania: «Stiamo valutando come introdurre al meglio nel quadro giuridico la possibilità di stabilire questi hub», fa sapere von der Leyen.

Il patto coi Paesi terzi (in vista dell’adesione all’Ue?)

Cosa significhi tutto questo lavorio, lo spiega a Open Mario Savino, professore di Diritto amministrativo all’Università della Tuscia. «Al momento il diritto europeo prevede che l’unico Paese dove poter rimpatriare un migrante sia quello di sua provenienza. Ma le cose stanno cambiando», spiega il docente, non fosse altro che per ragioni pratiche: spesso e volentieri i Paesi di origine non collaborano e dunque i rimpatri diventano di fatto ineseguibili. Come uscire dal circolo vizioso? Allargando le maglie dei Paesi sicuri ai fini del rimpatrio, per includere anche Paesi diversi da quelli di provenienza del migrante respinto. «Scommessa un po’ ardita», osserva Savino, ma che in realtà ha già messo radici nel Patto varato la scorsa primavera: «Il collegamento col Paese terzo potrebbe essere considerato stabilito anche qualora (il migrante, ndr) vi abbia solo soggiornato», si legge nel Regolamento 1348 del 2024. A posteriori, il mattone giuridico su cui costruire la nuova normativa sui Paesi sicuri. Ma quali potrebbero essere, in concreto, posto che la normativa internazionale impedisce di respingere persone laddove si corra il rischio di persecuzioni o trattamenti umani e degradanti? «La mia sensazione è che i Paesi interessati a collaborare con l’Ue su questo terreno saranno non tanto quelli del Nordafrica, quanto quelli a est dell’Europa in lizza per l’ingresso in Ue», riflette Savino. Più di una coincidenza che proprio alla vigilia del Consiglio europeo, mercoledì, fosse in agenda il vertice Ue-Balcani? «Non mi sorprenderebbe se i due tavoli si incrociassero – risponde il giurista – e se nei prossimi anni tra i criteri di eleggibilità per l’ingresso nell’Unione si aggiungesse la cooperazione nel rimpatrio dei migranti».

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Il centro di prima accoglienza allestito a Shengyin in Albania – 11 ottobre 2024 (ANSA/Armand Mero)

Parola d’ordine: esternalizzare

«Sono anni che chiediamo lo sviluppo di un’adeguata dimensione esterna della politica migratoria: dobbiamo guardare a ciò che circonda l’Ue, aprendoci anche a soluzioni innovative», conferma a Open l’eurodeputata tedesca Lena Düpont, che coordina il lavoro del Ppe sul tema al Parlamento europeo. Esternalizzare le procedure di rimpatrio verso Paesi terzi “volenterosi” non serve d’altra parte solo a inviare un messaggio di comprensione alla propria opinione pubblica e di dissuasione ai migranti “potenziali”, ma pure a risolvere un problema pratico che si porrà presto per i Paesi membri proprio con l’entrata in vigore del nuovo Patto. La nuova «procedura accelerata» di controllo, che prevede il trattenimento alla frontiera in caso di diniego, diventerà un obbligo per gli Stati d’approdo, con degli obiettivi numerici ben precisi, altissimi per l’Italia: nel primo anni di applicazione del Patto (giugno 2026-27) dovranno essere eseguite 16mila procedure del genere, nel successivo ben 24mila. Obiettivi astronomici rispetto all’attuale capienza dei centri di trattenimento alla frontiera, che contano ad oggi appena 800 posti. E per altri Paesi europei il dilemma è del tutto simile. Ecco perché il nuovo «approccio comune sui rimpatri» che la Commissione s’accinge a presentare aprirà la strada con ogni probabilità all’identificazione di return hubs in Paesi terzi amici. Il nuovo strumento giuridico (direttiva o regolamento) invertirà con ogni probabilità l’«onere della prova» sul meccanismo di rimpatrio: se in origine la regola era il rimpatrio volontario e l’eccezione quello forzato, spiega ancora il prof. Savino, tutto lascia pensare che l’Ue vorrà ufficializzare con adeguata veste giuridica la dinamica opposta.

La preoccupazione di Verdi e Socialisti

La segretaria del Pd Elly Schlein con Cecilia Strada – Milano, 1° giugno 2024 (ANSA / Rossella Papetti)

Sulla lotta all’immigrazione insomma l’asse tra Ppe e destra sovranista pare ben avviato a concretizzarsi con novità molto concrete nei prossimi mesi. Gli altri gruppi politici osservano increduli la saldatura: «Tira una bruttissima aria per i diritti», commenta sconsolata da Strasburgo Cecilia Strada, una vita spesa in Emergency e oggi eurodeputata per il Pd (cui non è iscritta) di Elly Schlein. Strada si dice molto preoccupata che la direzione di marcia delle istituzioni sia quella di «cambiare la legislazione per coprire i buchi neri del diritto europeo» in tema di immigrazione, e rivendica con orgoglio come il Pd sia stato l’unico partito del centrosinistra europeo a votare in primavera contro quel Patto migrazione e asilo punto di partenza dello sdoganamenti dei rimpatri «facili». Ora forse a pentirsene sono anche altri pezzi di rilievo del mondo socialdemocratico. «Ci opponiamo a qualsiasi esternalizzazione della politica di asilo o rimpatri, che andrebbe contro il diritto internazionale su cui è fondato quello europeo», alza le barricate Birgit Sippel, eurodeputata dell’Spd che coordina il gruppo S&D su questi temi, sottolineando come «qualsiasi revisione delle attuali regole sui rimpatri deve concentrarsi sul rafforzare quelli volontari, e sulla costruzione di partnership con Paesi terzi su un piede egualitario». Posizione del tutto simile a quella su cui s’assesta l’altro gruppo progressista che pure ha votato la fiducia alla nuova Commissione von der Leyen, i Verdi: «Altro che “soluzioni innovative”, quelle che gli Stati membri stanno discutendo e che la Commissione s’affanna a tradurre in legge sono intrugli inefficaci», commenta a Open Tineke Strik, leader degli eurodeputati Verdi sul dossier immigrazione. Return hubs che finiranno solo per «prolungare detenzioni disumane o lasciare le persone nel limbo, generando sofferenze atroci, spreco di denaro e nessuna soluzione reale». Entro marzo la Commissione scoprirà le carte, e la maggioranza che governa realmente l’Europa potrebbe rivelarsi ben diversa da quella che l’ha eletta lo scorso luglio.

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