La storia di Michele Padovano, innocente dopo 17 anni tra carcere e tribunali: «Il mio pensiero va a chi non ce la fa»
La storia di ingiustizia di Michele Padovano diventa un docufilm. L’attaccante che aveva conquistato una Champions League con la Juventus ha atteso 17 anni tra carcere e tribunali. E oggi a La Stampa racconta che cominciò tutto il 10 maggio 2006: «Ero appena uscito da un locale di Torino dopo un incontro elettorale, da candidato al Comune. In via Cibrario, a due passi dall’ospedale dove sono nato e dalla chiesa dove ho sposato Adriana, auto civetta della polizia mi sbarrarono la strada. Pensai a una messinscena, aspettavo lo striscione di “Scherzi a parte”, invece era l’inizio di un incubo».
Manette, perquisizioni, carcere
Padovano ha subito «le manette, la perquisizione a casa, il carcere, l’accusa d’essere finanziatore di un gruppo criminale quando avevo solo prestato dei soldi a un amico». È andato in galera a Cuneo prima e a Bergamo poi. «Nei momenti difficili si capisce chi è amico e chi no, ho fatto pulizia nella mia vita. Dopo l’arresto, oltre alla mia famiglia mi sono rimasti accanto in pochi. In carcere ho trovato invece tanta umanità, credo abbiano capito prima dei giudici che non sono un criminale», sostiene nel colloquio con Antonio Barillà. Lui ne è uscito e può raccontarlo: «Il mio pensiero va a chi non ce la fa, a chi resta in galera, a chi perde la speranza, si ammala oppure muore».
L’abbandono del calcio
Del suo vecchio mondo «c’è chi mi è stato vicino come Presicci, che era con me a Cosenza all’inizio della carriera: la nostra amicizia è estesa alle famiglie, io sono padrino di suo figlio e lui del mio. E Vialli, al quale ero legatissimo: non c’è giorno in cui non pensi a lui. Pochissimi altri, la maggior parte spariti: per tirare avanti ho dovuto vendermi tutto, avevo un diverso tenore di vita, ma oggi ho un’altra ricchezza. Ho imparato le cose vere della vita». La finale Italia-Francia l’ha vista «con il mio compagno di cella. Conoscevo molti dei protagonisti e ho tifato senza un filo d’invidia. Mi avrebbe fatto bene un messaggio di vicinanza. Pazienza…».
La carriera
Aveva iniziato la carriera da direttore sportivo: «In questi lunghi anni ho chiesto lavoro a tutti e nessuno me lo ha dato, ora sono talent per Sky e ci sono state chiacchiere con alcune società: sono sicuro che qualcosa si stia muovendo. Spero di ricominciare, ma nessuno potrà restituirmi quello che ho perso». Ha imparato a giocare a biliardo: «Mi ha aiutato perché è uno sport di riflessione, serve pazienza e io dovevo averne tanta. Eppoi posso praticarlo anche con le mie ginocchia rovinate: padel o calcio sono impossibili».