I documenti dei servizi, il ruolo di Carminati: perché si indaga ancora su Simonetta Cesaroni e il delitto di via Poma
I documenti riservati dei servizi segreti nell’appartamento di via Poma. Poi finiti nelle mani degli investigatori e in seguito spariti. E che potrebbero costituire un indizio sul movente dell’omicidio di Simonetta Cesaroni il 7 agosto 1990. Per questo la giudice delle indagini preliminari Giulia Arcieri ha respinto la richiesta di archiviazione delle indagini sul delitto che a 34 anni di distanza non ha ancora una soluzione. La magistrata parla di «poteri forti» e chiede a Piazzale Clodio di allargare le indagini. Ascoltando di nuovo chi era sulla scena del delitto. E forse ha tentato di insabbiare l’inchiesta fin dal primo momento.
Carmine Belfiore, Sergio Costa e Francesco Caracciolo
Tra i nomi che la gip ha chiesto di interrogare c’è Carmine Belfiore. Ex questore di Roma e vicecapo vicario della polizia, è arrivato per primo sulla scena del crimine quella sera del 7 agosto. Con lui c’era l’ex agente dei servizi segreti Sergio Costa, all’epoca responsabile del 113. La figura centrale resta quella dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, oggi deceduto e all’epoca presidente dell’Associazione italiana Alberghi della Gioventù (Aiag) per la quale Simonetta lavorava come segretaria contabile. Un’informativa della Digos che risale al 1992 e firmata proprio da Belfiore indicava il legale oggi deceduto come autore di «reiterate molestie arrecate a giovani ragazze», mai denunciate in virtù della sua posizione apicale.
L’alibi dell’avvocato
Ci sono anche dubbi sull’alibi dell’epoca dell’avvocato. Il quale disse di aver passato la giornata in una delle sue tenute di campagna e di essere tornato a Roma soltanto a sera. Ma la portiera di uno dei palazzi in cui aveva appartamenti ha detto di averlo visto tornare a casa in orari compatibili con omicidi e in compagnia di un’altra persona mai identificata. In più il figlio del fattore dell’avvocato sostiene di aver ricevuto una telefonata da via Poma che lo informava del delitto tra le 17 e le 20, ovvero prima della scoperta ufficiale del cadavere da parte di Pietrino Vanacore. La giudice chiede di indagare anche sul furto al caveau di piazzale Clodio, che risale al 1999 e per il quale è stato condannato, tra gli altri, Massimo Carminati.
Il collegamento con Carminati
Tra i documenti spariti dalle 147 – su 990 – cassette di sicurezza trafugate, ipotizza il giudice sulla base delle vecchie inchieste, ci sarebbero anche carte collegate all’omicidio di via Poma. «Appare del tutto verosimile che sin dall’inizio le indagini siano state inquinate per proteggere soggetti e/o interessi dei servizi segreti». Come potrebbe essere successo con «le persone in rapporti con l’Aiag», si legge nel decreto. Il pm Alessandro Lia dovrà anche riascoltare i familiari di Pietrino Vanacore, uno dei primi sospettati del delitto morto suicida nel 2010. Le accuse contro di lui erano state smentite dalle indagini. Che avevano portato poi a processare Raniero Busco, fidanzato di Simonetta, condannato in primo grado e assolto con formula piena nei giudizi successivi.
Vanacore, Busco, Volponi, Valle, Giammona
Altre due indagini avevano puntato su Salvatore Volponi, capufficio di Simonetta, e Federico Valle, nipote di Cesare, progettista del complesso, e residente nello stabile. Il Corriere della Sera spiega oggi che le indagini sul delitto, sin dall’inizio, furono caratterizzate da errori gravi e stranezze. Come la misteriosa scomparsa di un’agenda rossa con la scritta “Lavazza” e di una cartellina beige, insieme a una traccia di sangue etichettata come “reperto n. 6”. L’appartamento al civico numero 2 di via Poma era di proprietà di Manlio Giammona Indaco, mai interrogato dai pm. E che risulta al centro di una rete di persone vicine agli 007. Giammona viveva in via Piccolomini 28, che ospitava diverse proprietà della “Servo Immobiliare Srl”, società di copertura del Sisde, sequestrata nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione dei fondi riservati dei servizi.
Vito Di Cesare, Vincenzo Parisi, Francesco Bruno
Poi c’è Vito Di Cesare. Cognato di Riccardo Malpica, prefetto e direttore del Sisde. Oltre che vicino al capo delle barbefinte Vincenzo Parisi, che abitava nello stesso stabile in cui lavorava Anita Baldi, direttrice regionale dell’Aiag in via Cavour 44. Lo psichiatra degli 007 Francesco Bruno avallò la tesi della colpevolezza del portiere, tracciandone un profilo compatibile con l’omicidio. Vanacore si è ucciso alla vigilia di una deposizione in uno dei processi su Cesaroni. Il collegamento con il furto al caveau del 1999 risiede in una cassetta di sicurezza di Caracciolo di Sarno. Anche questa aperta dalla banda di Carminati. Lui disse che dentro c’erano gioielli per 121 milioni di lire. Ma al processo non si presentò mai.