Reggio Calabria, ragazzine stuprate per anni dai rampolli del clan. La famiglia di una delle vittime: «Sei pazza, non denunciare»
Le hanno violentate e hanno filmato le violenze, per anni. Loro, le vittime, minorenni. Loro, i carnefici, pure. Questo l’orrore che emerge da Seminara, piccolo comune in provincia di Reggio Calabria culminato ieri con gli ultimi arresti sul caso: tre ragazzi che all’epoca avevano meno di diciotto anni. Chi ha però fatto violenza sulle due minorenni, spiega oggi Alessia Candito su Repubblica, sono più persone. Nell’inchiesta sono emersi sedici uomini: tra loro figli dei rampolli della ’ndrangheta, il figlio di un politico locale e il fidanzato di una delle due vittime. O meglio, quello che lei credeva tale. Ragazzine rimaste sole in quei due anni di violenze e dopo, perché i familiari di una delle due, quando sono scattati i primi arresti, hanno cercato di farle tacere.
La famiglia di una delle vittime: «Ma perché non ti ammazzi? Sei una pazza»
Tutto inizia oltre un anno fa quando gli investigatori impegnati a seguire una pista di ’ndrangheta, ascoltano alcuni degli indagati organizzare gli stupri via chat. «Abbiamo sentito organizzare le violenze in diretta», commentò al tempo il procuratore di Palmi dell’epoca, Emanuele Crescenti. Il 15 novembre del 2023 i poliziotti del commissariato di Palmi arrestano quattro persone. Nessuna delle vittime aveva finora denunciato nulla. Iniziano le parziali ammissioni delle vittime. Ma per una di loro le pressioni dei famigliari si fanno insistenti. «Devi stare muta», le ordinavano la sorella, il fratello e i rispettivi compagni, accusandola di aver «rovinato» tutti. «Ma perché non ti ammazzi?», e ancora «sei una pazza». E avevano fissato un appuntamento con uno specialista affinché la dichiarasse incapace di intendere e di volere. Non ci sono riusciti, un anno fa sono stati arrestati e messi ai domiciliari. La procura di Palmi e quella per i minorenni ha continuato a lavorare nonostante il clima d’indagine non facilissimo. Su una delle due ragazze, riporta Repubblica, sono intervenuti direttamente. «Ha combattuto da sola, è stata determinata e coerente nel suo racconto», hanno precisato gli inquirenti.
(In copertina un disegno di Emilio Vitelli per simbolizzare una violenza sessuale ai danni di una donna. ANSA / EMILIO VITELLI)