Gigi D’Alessio e lo tsunami del 2004 in Indonesia: «Scampai la morte per un soffio con mio figlio sulle spalle»
«In un attimo il mare diventò un mostro che divorò quel paradiso e la sua gente. Fu terribile». Non può e non vuole dimenticare Gigi D’Alessio quello che accadde il 26 dicembre 2004. Il cantante neomelodico si trovava alle Maldive con i figli, aveva da poco registrato il suo undicesimo album in studio. Era a Soneva Fushi, per trascorrere le vacanze di Natale. Quel giorno di 20 anni fa avvenne una delle disastri naturali più letali. Poco prima delle 8 ora locale, in Italia era piena notte, vi fu un terremoto di magnitudo 9.2 nell’Oceano Indiano che provocò uno tsunami catastrofico. Furono 14 i Paesi che ne subirono le conseguenze, dall’Indonesia al Sudafrica, dalla Thailandia alle Seychelles. Oltre 230 mila morti, travolti da un «muro d’acqua» implacabile. «Sembrava uno di quei disaster movie che vediamo al cinema. Arrivò un muro d’acqua alto metri. Feci appena in tempo a prendere in braccio mio figlio Luca (oggi l’artista LDA), che allora aveva poco più di un anno», racconta Gigi D’Alessio al Corriere della Sera, «uscimmo dal mio bungalow e andammo a controllare come stavano gli altri miei figli Claudio e Ilaria nella struttura accanto. Mi muovevo nell’acqua che saliva sempre di più, sollevando il piccolo Luca sempre più in alto. Riuscimmo poi a raggiungere tutti una zona sicura tra urla, disperazione, distruzione. Nulla si salvò».
Gigi D’Alessio e il senso di colpa
Solo un «grande spavento» per il cantante. Riuscito a portare in salvo la famiglia, il peggio per loro era ormai passato. È stato «fortunato», riconosce oggi, così come riconosce che a farne le spese come sempre accade sono stati gli ultimi: «I più poveri, i più deboli, i più indifesi, coloro che non hanno fatto in tempo a trovare un posto sicuro». Attorno a lui era desolazione e disperazione, persone distrutte dal dolore alla ricerca dei propri cari, delle proprie cose, di ciò che ormai non era già più. «Noi alla fine ci avremmo rimesso solo un enorme spavento e una vacanza in un posto esotico che avremmo potuto rifare quando avremmo voluto», il pensiero che già allora diventata un peso sullo stomaco e gli stringeva la gola, scampato lo spavento iniziale, «ho provato un profondo senso di colpa per il solo fatto di essermi salvato e di poter ritornare alla mia vita agiata. Pensavo che il tempo avrebbe trasformato questa giornata in un ricordo evanescente, invece non è stato così. Non ho dimenticato quello che accadde, non volevo farlo».