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Terrorismo, gli indagati del gruppo Da’wa non rispondono al gip: sono accusati di aver creato un’organizzazione jihadista

Di un altro ragazzo, un 20enne cresciuto a Milano, si sono perse le tracce: a novembre è partito per l'Etiopia

Brevi dichiarazioni spontanee e poi hanno invocato la facoltà di non rispondere alle domande del magistrato. Così sono andati gli interrogatori di garanzia dei quattro giovani indagati dalla Procura di Bologna con l’accusa di aver costituito e promosso l’organizzazione terroristica Da’wa (La chiamata). Di fronte al gip Letizio Magliaro i quattro arrestati hanno preferito rimanere in silenzio. Gli inquirenti sono ancora alla ricerca del quinto indagato: un 20enne di origine marocchina residente a Milano che è partito a novembre per l’Etiopia per unirsi alle milizie jihadiste.

Gli interrogatori

Per il fratello (19 anni) e la sorella (22 anni) di origini pakistane ma con la residenza nel quartiere Bolognina, gli interrogatori sono durati una manciata di minuti. I due, difesi rispettivamente dagli avvocati Christian Zanasi e Simone Romano, hanno fatto brevi dichiarazioni spontanee ma hanno preferito non rispondere alle domande del magistrato. Esito simile hanno avuto i colloqui di garanzia della ragazza 18enne di origine algerina residente a Spoleto e del 27enne turco residente a Monfalcone. La ragazza, difesa dall’avvocato Sabrina Montioni, e il 27enne, assistito dall’avvocato Giovanni Iacono di Monfalcone, hanno partecipato agli interrogatori in video collegamento dalle carceri di Perugia e Gorizia. La giovane si è avvalsa della facoltà di non rispondere alle domande del magistrato, ma il suo difensore ha fatto notare che buona parte dei reati contestati sono avvenuti quando era ancora minorenne. Il 27enne di origine turca, che a Monfalcone gestisce con il fratello due ristoranti dove avrebbe fatto anche proselitismo per la causa jihadista, ha fatto invece brevi dichiarazioni spontanee, ma non ha risposto alle domande.

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