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I 10 giorni di carcere di Cecilia Sala a Teheran e l’intreccio internazionale con l’uomo dei droni: «Sto bene ma fate presto»

28 Dicembre 2024 - 07:08 Massimo Ferraro
cecilia sala arrestata
cecilia sala arrestata
Nelle stesse ore in cui la giornalista italiana veniva portata nella prigione di Evin, a Malpensa veniva fermato un cittadino svizzero-iraniano su cui pende la richiesta di estradizione degli Usa

Dieci giorni di silenzio, poi la visita dell’ambasciatrice tra le mura del carcere di Evin, l’abbraccio e la diffusione pubblica della notizia. Dal 19 dicembre scorso Cecilia Sala, giornalista del Foglio e di Chora News, è detenuta in Iran nel carcere di Evin, a Teheran. La scrittrice a autrice del podcast Stories si trova in isolamento. È stata prelevata dall’albergo dove alloggiava, 24 ore prima del suo rientro in Italia. Contro di lei non sono state formalizzate accuse precise. Le autorità l’hanno posta in stato di fermo per non meglio precisati «comportamenti illeciti». Sala, 29 anni, aveva ottenuto regolare visto di soggiorno e lavoro per 8 giorni nel Paese. Rilasciato dall’ambasciata iraniana in Italia. A Teheran è arrivata per svolgere interviste, accompagnata da un fixer locale fornito sempre dalla sede diplomatica. Ha raccolto e pubblicato tre puntate. Quella del 16 dicembre dedicata al patriarcato con la voce di Diba, studentessa di 21 anni. Quella successiva con Hossein Kanaani, uomo del regime e fondatore dei pasdaran iraniani, corpo militare iraniano, e quella del 18 dicembre con la storia di Zeinab Musavi, stand up comedian arrestata per il suo lavoro. Poi il silenzio.

La prima telefonata dopo l’arresto: le frasi ripetute

«Non è arrivata la puntata di Sala». Così Francesca Milano, giornalista di Chora Media, avvisava il direttore Mario Calabresi che Cecilia Sala non aveva consegnato il lavoro. Un campanello d’allarme per la redazione, considerata la puntualità e la professionalità della collega. Capace di ultimare puntate di podcast e articoli anche dal fronte ucraino, abituata comunque ad avvisare in caso di problemi. Da 4 ore non si collegava sui social, questo dicevano gli accessi online. Così è stato avvisato il compagno, il giornalista de il Post Daniele Raineri, che ha allertato l’unità di crisi della Farnesina. Il giorno dopo Cecilia Sala non era sull’aereo di ritorno e gli uomini della sicurezza e del ministero hanno iniziato a dialogare con le autorità per ottenere il rilascio. Nella tarda mattinata del 20 dicembre, la giornalista ha telefonato alla madre. Forse leggendo un testo preparato che recitava: non mi hanno fatto male, sono stata arrestata e sono in prigione. Alle domande della madre, la 29enne ha ripetuto le risposte e ha poi aggiunto, scandendo: «Non posso», alla richiesta di maggiori dettagli.

La seconda telefonata dal carcere di Evin: la cena di Natale

Secondo quanto è dato sapere a dieci giorni dall’arresto, senza un’accusa ancora formalizzata che potrebbe arrivare in queste ore, Cecilia Sala si trova in isolamento nel carcere di Evin. Quello dove solitamente vengono rinchiusi i dissidenti, alla periferia della capitale. Dove già nel 2022 aveva vissuto 45 giorni di detenzione la travel blogger italiana Alessia Piperno, che non ha mancato di far sentire la sua vicinanza alla giornalista e ai familiari. In una seconda telefonata della 29enne alla famiglia, ha parlato con il padre e il compagno. «È riuscita a far sapere che a Natale le hanno dato del pollo con il riso e due sigarette», dice Calabresi al Corriere, «poi ieri, finalmente, è potuta andare a trovarla l’ambasciatrice Paola Amedei che le ha portato dei vestiti, del cibo. Ci ha comunicato che fisicamente sta bene». L’ambasciatrice è rientrata in Iran precipitosamente, era in Italia per trascorrere le feste di Natale in famiglia. A Sala ha portato biancheria, indumenti e oggetti per l’igiene. Mentre si lavora anche dietro le quinte per ottenere il rilascio.

Chi è l’uomo dei droni fermato a Malpensa

Il giorno prima dell’arresto di Sala, gli Stati Uniti diffondevano un comunicato in cui veniva reso pubblico il fermo all’aeroporto di Malpensa del cittadino svizzero-iraniano Mohammad Abedininajafabadi. Non è sicuro che le due vicende siano collegate, ma è una coincidenza difficile da ignorare. Considerato anche che i regimi spesso utilizzano la detenzione dei cittadini stranieri come ritorsione o arma di ricatto. Abedininajafabadi, tecnico informatico di 38 anni, è accusato dagli Usa di «associazione a delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Power Act, e per la fornitura di supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera». L’uomo era stato segnalato alle autorità internazionali, per questo quando è arrivato in Italia è scattato l’arresto, convalidato dal giudice. Secondo gli investigatori, avrebbe creato una società schermo attraverso la quale far passare i droni utilizzati dai pasdaran. Sarebbero transitati anche i droni che hanno causato tre morti tra i soldati americani nell’attacco del 28 gennaio scorso in Giordania. Gli Stati Uniti hanno chiesto l’estradizione, alla quale il cittadino svizzero-iraniano si è opposto. Sarà il giudice italiano ora a esprimersi, con l’avallo del ministro della Giustizia, considerando anche la situazione della giornalista italiana.

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