Cecilia Sala, per l’estradizione dell’iraniano Abedini Najafabani servono almeno due mesi. E c’è un’altra mossa (che solo Nordio può fare)
Tempo, il fattore tempo è un aspetto chiave della vicenda della giornalista Cecilia Sala, il cui arresto è avvenuto a Teheran lo scorso 19 dicembre ed è stato reso pubblico una settimana più tardi. Ieri il dipartimento Usa a Repubblica ha invitato l’Iran «a rilasciare i detenuti arrestati arbitrariamente», dando conferma che la vicenda è legata a doppio filo con quella di Mohammad Abedini Najafabani, ingegnere 38enne, con doppio passaporto svizzero iraniano, fermato all’aeroporto di Malpensa il 16 dicembre scorso. Però proprio Repubblica oggi, in un pezzo a firma di Giuliano Foschini, sottolinea come ci vogliano non meno di due mesi perché la Corte di appello di Milano decida sull’estradizione dell’ingegnere accusato negli Stati Uniti di associazione per delinquere, violazione delle leggi sull’esportazione e sostegno a una organizzazione terroristica. L’Iran aspetta dall’Italia segnali molto prima: il governo di Teheran non ha nascosto ieri all’ambasciatrice Paola Amadei che vedrebbe come un gesto di grande attenzione la concessione degli arresti domiciliari verso l’uomo, per esempio. Non a caso l’avvocato di Najafabadi, Alfredo de Francesco, presenterà una richiesta al tribunale di Milano nelle prossime ore. C’è poi una seconda via.
La mossa “Nordio” (che al momento sembra impossibile)
C’è una via, tutta politica, per scarcerare subito Najafabadi, spiega il quotidiano. E si basa sul secondo comma dell’articolo 718 del codice di procedura penale che prevede, in caso di un detenuto in attesa di estradizione, come la revoca della misura «cautelare è sempre disposta se il ministro della giustizia ne fa richiesta». Una mossa forte sì, ma se il ministro Carlo Nordio volesse la liberazione dell’iraniano potrebbe esser immediata. Come accadde nel 2022, quando la Russia chiese l’estradizione del regista ucraino Yeven Eugene Lavrenchuk, fondatore del Teatro Polacco a Mosca. Arrestato a Napoli in un albergo mentre stava per partire per Tel Aviv fu rilasciato su richiesta del ministro a marzo (sotto la guida ministeriale di Marta Cartabia). In quel caso però era scoppiato un conflitto tra Mosca e Kiev e il ritorno del russo in terra natale sarebbe stato molto pericoloso per il regista stesso. In questo caso oltre al mantenimento dei buoni rapporti con gli Usa il ministero, “liberando” l’ingegnere smentirebbe, sé stesso. Perché è stato proprio via Arenula a chiedere il «mantenimento della misura cautelare» sull’uomo, dopo l’arresto del 16 dicembre. Perché esiste un pericolo di fuga. Gli americani stanno preparando la richiesta di estradizione inviando, così come prevede la legge, tutti i documenti dell’accusa tradotti, con una perizia giurata, in italiano. Una volta ricevuto il ministero girerà gli atti al procuratore generale di Milano. Secondo il legale dell’uomo non ci sono le condizioni per l’estradizione.
Il legale dell’iraniano: perché l’estradizione non è fattibile. «Rischia negli Usa condizioni carcerarie inaccettabili per il nostro diritto»
L’avvocato di Najafabadi sostiene che non ci siano le condizioni per l’estradizione perché due dei reati che vengono contestati al cittadino iraniano sono punibili negli Stati uniti con l’ergastolo. Un carcere a vita senza benefici come in Italia. E Cassazione, Corte costituzionale e anche la Corte europea hanno stabilito che «non è possibile estradare in paesi dove sono previsti trattamenti inumani e degradanti». «E il mio assistito, con accuse di terrorismo – afferma a Repubblica l’avvocato De Francesco – rischia negli Usa condizioni carcerarie inaccettabili per il nostro diritto».