Caso Cecilia Sala, i domiciliari di Abedini e l’ipotesi espulsione dall’Iran: cosa rischia la giornalista
La dichiarazione generica con la quale il governo iraniano ha confermato l’arresto di Cecilia Sala a Teheran è di «violazione delle leggi della Repubblica Islamica». Una formula vaga che indica almeno due cose. Le autorità stanno proseguendo le indagini successive all’arresto della 29enne giornalista, inviata in Iran per Chora Media e detenuta dal 19 dicembre nel carcere di Evin, per definire un capo di imputazione più preciso: ossia non è ancora chiaro neanche alla giustizia locale quale comportamento della giornalista deve essere punito. In secondo luogo, la formulazione generica lascia uno spiraglio per una risoluzione rapida della vicenda. Un ulteriore elemento nelle mani di Teheran per fare pressione sul governo e la magistratura italiana, ma anche una via legalmente percorribile per far tornare in Italia Sala in breve tempo. L’intreccio è ormai noto, pur con le dovute cautele sollecitate in questi giorni. Un’ora prima che Sala finisse in manette a Teheran, prelevata dall’hotel dove alloggiava – con regolare viso di soggiorno e di lavoro – e rinchiusa nel carcere per oppositori politici al regime, veniva confermato a Milano l’arresto di Mohammad Abedini Najafabani, ingegnere 38enne iraniano con permesso di soggiorno svizzero, fermato all’aeroporto di Malpensa in applicazione delle richieste degli Stati Uniti. Per Washington, l’uomo è responsabile di aver violato l’International Emergency Economic Power Act e di aver fornito supporto a un’organizzazione terroristica straniera.
La linea difensiva di Abedini
Il 30 dicembre l’avvocato di Abedini ha presentato la richiesta di affidamento ai domiciliari del suo assistito. E la rappresentanza diplomatica iraniana si è fatta garante del rispetto dell’eventuale decisione dei giudici italiani, promettendo che il 38enne rispetterebbe la misura senza tentare la fuga. Una mossa irrituale, che è anche un’esca delle autorità iraniane per stabilire un rapporto di fiducia tra le parti. La difesa di Abedini contesta poi le accuse di Washington al suo assistito. Punta alla scarcerazione prima ancora che la Corte possa pronunciarsi, con il placet del ministro della Giustizia Nordio, sulla estradizione negli Stati Uniti. Prima di tutto, la norma Usa che Abedini avrebbe violato che sanziona qualunque tipo di aiuto, bene, servizio o consulenza che supportino un’organizzazione dichiarata terroristica. Abedini, sempre che venisse dimostrato, non avrebbe supportato una organizzazione “straniera” rispetto a se stesso, in quanto cittadino iraniano. In secondo luogo, a differenza degli Stati Uniti né l’Italia né l’Ue hanno inserito con uguale formulazione il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica nella lista delle organizzazioni terroristiche. E infine, se il tribunale italiano accettasse lo schema proposto da Washington per l’estradizione, significherebbe per Teheran che qualsiasi suo cittadino che intrattenesse rapporti di lavoro con articolazioni del proprio Paese rischierebbe uguale sorte.
I domiciliari di Abedini
Il trasferimento dal carcere ai domiciliari di Abedini, con la garanzia di non evasione presentata dalle autorità diplomatiche iraniane, sarebbe un segnale distensivo che potrebbe essere accolto con grande favore a Teheran. E potrebbe avere un impatto anche sulla vicenda Sala. La Corte d’Appello potrebbe tuttavia accogliere la richiesta Usa di non concedere la misura cautelare, a quel punto Nordio avrebbe facoltà di revocare gli arresti a fini estradizionali. Una mossa politicamente molto orientata e che scontenterebbe in maniera plateale Washington. «Per giungere a questa decisione il Guardasigilli Carlo Nordio potrebbe ricorrere a valutazioni tecniche sulla configurabilità delle accuse mosse a Abedini in base alle norme statunitensi, che non troverebbero riscontro nelle leggi italiane», sottolinea Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera.
L’espulsione di Sala
A far ben sperare Roma è però proprio la formulazione generica di accuse verso la giornalista diffusa a 12 giorni dall’arresto. Per ora scongiura le ipotesi di reato più gravi, come spionaggio o collaborazione con lo Stato di Israele. Per la legge iraniana, Sala avrebbe già dovuto conoscere entro 24 ore dal fermo l’ipotesi di reato per la quale è stata arrestata. Intanto le autorità hanno consegnato alla diplomazia italiana la lista di avvocati tra i quali scegliere la difesa per la giornalista. La formulazione definita dell’accusa permetterà di capire dove Teheran vuole fissare l’asticella, se vuole mettere più o meno pressione a Roma con le accuse più gravi. Tenendo a mente però che esse possono poi cambiare, come ricorda il caso del rapper Toomaj prima condannato a morte e poi scarcerato. La giornalista intanto ha ricevuto il borsone con indumenti, sigarette, oggetti per l’igiene, consegnati dall’ambasciatrice Amadei il 27 dicembre dopo l’incontro. E già è pronto un secondo kit da far arrivare alla giornalista incarcerata, che ha potuto parlare con i propri familiari al telefono. Roma ora spera che una conduzione delle trattative positiva possa portare a una risoluzione più veloce della situazione. La diplomazia italiana prova a slegare la vicenda di Abedini da quella di Sala, per evitare che la complessità della prima prolunghi la detenzione della giornalista. Per questo l’eventuale concessione dei domiciliari potrebbe essere un segnale per Teheran sufficiente a consentire la scarcerazione ed espulsione immediata di Sala dal Paese. Prima ancora di istruire un processo. Sarebbe questa la soluzione più gradita a Roma, ma per arrivare a una soluzione positiva sarà necessario risolvere il braccio di ferro a tre con Iran e Usa.
Foto i copertina: Instagram/Drugi | Il murale dedicato a Cecilia Sala firmato dallo street artist Drugi a Venafro, 30 dicembre 2024