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Cannabis e codice della strada. Fornasari: «Dopo 8 ore effetti dimezzati, la punizione due giorni dopo non ha basi scientifiche» – L’intervista

31 Dicembre 2024 - 10:55 Gemma Argento
Il Direttore della scuola di Specializzazione in Farmacologia e Tossicologia Clinica della Statale di Milano: «Il nuovo Codice della strada si basa su un'idea preventiva e repressiva che, per coerenza, andrebbe applicata anche all'alcol. Per i pazienti in terapia può essere un'ingiusta condanna»

Il nuovo Codice della Strada non perdona. Mettersi alla guida da lucidi, senza presentare alcuna alterazione psico-fisica ma avendo fumato una canna anche due giorni prima del viaggio in auto, rientra ufficialmente nei comportamenti soggetti a sanzione. Sono le nuove regole decise dal ministero dell’Interno per una maggiore sicurezza stradale: entrate in vigore dal 14 dicembre 2024, oltre a occuparsi di guida in stato di ebrezza e sotto sostanze stupefacenti, prendono nel mirino il consumo di psicotropi come la cannabis. Il sistema sanzionatorio è diventato di fatto più punitivo, con una multa «dai 1.500 ai 6.000 euro e l’arresto dai sei mesi ad un anno», come spiega l’articolo 187 del Codice. Quando il reato viene accertato poi il regolamento prevede «sanziona amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni». Un aggiornamento che continua a creare non poco dibattito e malcontento: nelle ultime ore la diffida al governo è arrivata dai migliaia di pazienti in cura con la cannabis, utilizzata da chi combatte con la sclerosi multipla o segue terapie oncologiche, soggetti che convivono con dolori cronici, insonnia, gravi problemi motori e che ora temono anche di non poter più guidare. Chi ne fa uso ludico invece cerca di capire quale fondamento scientifico possa giustificare un inasprimento senza appello.

A rispondere alle domande sul tema il professor Diego Fornasari, Direttore della scuola di Specializzazione in Farmacologia e Tossicologia Clinica dell’Università Statale di Milano e presidente dell’Associazione italiana terapia del dolore. 

Professore per riuscire a rispondere sulla questione sicurezza stradale, partiamo dal principio: perché e in che modo il THC ha un effetto sul nostro cervello? 

«Il THC contenuto nella cannabis agisce sul nostro sistema nervoso centrale perché siamo in possesso di un sistema cerebrale cosiddetto “endocannabinoide”, un insieme di recettori, molecole su cui tutti i neurotrasmetittori si legano e che regola alcune delle funzioni importanti del nostro cervello. Quando assumiamo THC andiamo ad interferire con il funzionamento di queste funzioni. In maniera appropriata se si usa come terapia farmacologica per il dolore, in un modo incontrollato se si usa a scopo ludico, provocando danni». 

Quali sono i meccanismi alla base che legano il cervello all’utilizzo ludico del THC?

«La natura non si è fidata completamente di noi e ha ritenuto che affinché ripetessimo comportamenti importanti per la nostra sopravvivenza, ha associato a questi un sistema di gratificazione e piacere. Continuiamo a ripetere fisiologicamente l’atto del mangiare, del bere, del dormire, l’attività sessuale, perché stimolati nel nostro cosiddetto centro del rewarding o “centro della gratificazione” presente nella nostra struttura cerebrale. Tutte le sostanze per essere d’abuso devono stimolare il centro del rewarding, dagli oppiacei, all’alcol, alle droghe in generale. Con la differenza che rispetto a cibo e attività sessuale, queste producono una stimolazione brutale, colpendo il centro del piacere spesso modificandone la modalità di assorbimento e tracciando così la strada per una dipendenza. Se mangiando lo stesso identico tipo di cibo per giorni potremmo andare incontro a un senso di nausea e di rifiuto, nonostante le prime volte ci sia piaciuto molto, nel caso delle sostanze psicotrope questo non succederà. Da un punto di vista medico, ci troviamo spesso ad affrontare due lati opposti della stessa medaglia. Da un lato l’effetto farmacologico ad oggi salvifico per molte persone, dall’altro il rischio dipendenza da non sottovalutare mai soprattutto negli effetti». 

Professore di che effetti parliamo? 

«Il THC agisce sui cannabinoidi di tipo 1, quelli che nel nostro cervello per esempio coordinano l’attività motoria, sugli animali provocano assoluta catatonìa, che gestiscono la percezione del dolore, l’appetito. Rispetto a quelli di tipo 2, che regolano il nostro sistema cardiovascolare e immunitario, i CB1 hanno maggiori effetti psicotropi con un forte collegamento con il centro di gratificazione. Per questo motivo a preoccupare è più il THC, la sostanza che stimola i CB1, che il CBD, altra sostanza cannabinoide che però non ha effetti sul sistema nervoso centrale. Da qui anche la netta distinzione tra cannabis light che non contiene THC e quella che la contiene. Per effetti psicotropi intendiamo modifiche nella percezione della realtà con un grosso potere ansiolitico, interferenze sulla socialità, stimolazione del sonno e dell’addormentamento, fame accentuata. È scientificamente verificato inoltre che nell’utilizzo persistente di cannabinoidi si possono sviluppare sindromi psichiatriche. Quello che non sappiamo ancora è se la cannabis stana delle situazioni di psicosi preesistenti o le fa nascere a causa della sovrastimolazione dei recettori cannabinoidi. Dunque sfatiamo il racconto che la cannabis non crea dipendenza. La nicotina stimola altamente il centro del piacere ed ha una capacità di instaurare dipendenza molto rapidamente, ma la conosciamo di più, sappiamo che non interferisce con aree del cervello alterando i comportamenti, e quindi viene più accettata. Stesso discorso vale per l’alcol. E per i cannabinoidi. Tutto dipende da dosaggio e frequenza».

La cannabis paragonabile all’eroina?

«Gli effetti sui comportamenti provocati dall’eroina sono molto più drastici ma è una questione di capire entro quanto tempi certi effetti si attuano: le sindromi psichiatriche di cui parlavamo prima incitate dal THC non sono da sottovalutare soprattutto se l’utilizzo anche saltuario contiene fisiologicamente un rischio di auto-mantenere il consumo e quindi di sviluppare una dipendenza. Sulla questione tempistiche per esempio centrale è il fattore età. Quello che non si dice abbastanza è che il lobo prefrontale del cervello con le sue connessioni maturano nell’adolescenza, tra i 15 e i 21 anni. E quali sono i mediatori fondamentali per la maturazione di questo circuito cerebrale? I recettori endocannabinoidi di cui parlavamo all’inizio, quelli più stimolati e modificati dal THC. Questo è il motivo per cui stiamo assistendo a un’epidemia silenziosa di psicosi, schizofrenie, alimentate dall’utilizzo di cannabinoidi nei ragazzi che fumano sistematicamente. Ai ragazzi a cui insegno in Università dico sempre, volete fumare? Fatelo almeno dopo i 23 anni».

Alla luce di tutto questo, c’è una base scientifica per cui punire la positività al THC anche dopo diversi giorni dall’assunzione e senza presentare stati di alterazione? 

«L’uso ludico prevede disturbi di attenzione, c’è poco da discutere. Nello specifico però, trovare tracce di THC assunto magari due giorni prima, non può essere dal punto di vista scientifico considerato  fonte di pericolosità per chi si mette in strada. La decisione di sanzionare a prescindere non ha una base farmacologica solidissima: una volta che la concentrazione della sostanza è scesa a livelli minimi gli effetti farmacologici non sono più presenti».

Quali sono questi livelli minimi?

«Si parla di un valore al di sotto del milligrammo. In questo caso vuol dire che il soggetto ha assunto la sostanza il giorno prima, due giorni prima e che di conseguenza in quel momento non è particolarmente pericoloso». 

Quanto durano gli effetti dell’assunzione in ore? Con il test posso capire se c’è un utilizzo reiterato della sostanza? 

«Tutte le sostanze hanno un tempo necessario perché la loro concentrazione nel sangue si dimezzi e quindi anche gli effetti collegati. Per il THC siamo nell’ordine delle 6-8 ore dall’assunzione. Non posso sapere con un test se si tratta di un’assunzione frequente o occasionale. Saprò soltanto che c’è stato un utilizzo. Ma la decisione del legislatore ha seguito evidentemente altri criteri rispetto a quello farmacologico».

Quali criteri sono stati seguiti secondo lei?

«Si tiene conto che i cannabinoidi, come l’alcol, hanno effetti progressivi sul sistema nervoso. Un soggetto che fa uso costante di THC potrebbe non avere riflessi e capacità motorie integre. Il reale dubbio è che abbia subìto nel tempo delle alterazioni. C’è quindi un’idea preventiva e repressiva, più che un fondamento scientifico, a guidare la decisione del nuovo Codice stradale. Se ti trovo con una quantità minima di cannabis in circolo questo vuol dire che domani potresti assumerla mentre guidi. Di conseguenza ti blocco prima che tu possa fare una cosa di questo tipo. Un discorso di prevenzione che forse a questo punto andrebbe applicata in maniera più ampia. Forse anche all’alcol». 

I test salivari utilizzati dalle forze dell’ordine sono attendibili?

«Si tratta di test abbastanza sensibili ormai, tecnologie correlate alla possibilità di individuare la presenza di THC anche se l’assunzione è lontana nel tempo. Sicuramente l’esame del sangue rimane sempre la cosa migliore ma non li escluderei per un utilizzo immediato». 

Alcuni studi ipotizzano che si possano verificare risultati positivi anche su un soggetto che abbia subìto fumo passivo.

«Sono piuttosto scettico su questa possibilità. Rimane un fronte da testare ma non so fino a che punto una quantità inalata in modo passivo possa rimanere in tracce notevoli. La possibilità che ci siano testimoni innocenti, chiamiamoli così, credo faccia parte più del dibattito politico e meno scientifico». 

Per l’alcol esistono delle soglie al di sotto delle quali non si viene considerati soggetti pericolosi per la sicurezza stradale. Perché non vale la stessa cosa per il THC?

«Questo sarà un ulteriore passo da affrontare e con non poca urgenza. Lo dico soprattutto per tutelare i tanti pazienti che fanno uso terapeutico e che si ritrovano oltre al danno anche la beffa di non poter guidare. Il legislatore ha ritenuto valido penalizzare questi comportamenti a prescindere, non una mancanza dovuta a sbadataggine quindi ma una precisa decisione di natura sociale e politica. Il discorso che non ci sia una soglia crea problemi a noi medici per l’utilizzo farmacologico. Da presidente dell’Associazione italiana per lo studio del dolore, sto agendo assieme a più di 20 realtà che si occupano della di dolore nei pazienti: abbiamo già scritto al Ministero dei trasporti e a quello della salute sollevando il problema. Non si può penalizzare il paziente con dolore che non fa uso ludico di cannabis ma uso controllato, con dosaggi prescritti da ricetta medica, compatibile con la possibilità di guidare l’auto e soprattutto stabile, senza picchi nell’assunzione». 

Qual è stata la risposta del governo?

«Hanno condiviso con noi la necessità, per questo a breve si aprirà un tavolo di lavoro per cercare di trovare una soglia che vada a definire i confini dell’uso terapeutico. Non c’è niente di peggio per un paziente oncologico di sentirsi beffato da una regola, con l’impedimento di poter guidare ed essere autonomo. Senza contare che per chi si occupa di dolore, dove le sostanze come oppioidi e cannabinoidi sono farmaci di prima linea, è complicato dover fronteggiare narrazioni terroristiche. Pensate al fentanyl, chiamata la droga degli zombie, considerato in verità dall’Oms un vero e proprio farmaco salvavita. E poi c’è un altro profilo da prendere in considerazione: quello del tossicodipendente in terapia con metadone. Anche in questo caso un soggetto controllato e stabile. Cosa facciamo, non guiderà per tutta la vita?  Questi sono i discorsi che dovranno essere affrontati, ma al momento mi sembrano step successivi rispetto alle decisioni prese».

Foto in evidenza di Thought Catalog su Unsplash

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