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Cecilia Sala, governo nervoso con il tribunale di Milano, il primo obiettivo: ottenere l’espulsione prima che Trump si insedi

02 Gennaio 2025 - 17:45 Sara Menafra
cecilia sala giorgia meloni iran tribunale milan arresto espulsione
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Palazzo Chigi ha valutato inopportune le notizie filtrate su Abedini, l'ingegnere che l'Iran vorrebbe far liberare. L'ipotesi di coinvolgere Erdogan nella mediazione

Giorgia Meloni ha convocato il vertice di oggi pomeriggio sul caso Cecilia Sala con un primo obiettivo, che potrebbe apparire scontato ma scontato non è: chiarire a tutti che liberare la giornalista è una priorità assoluta e che – o almeno questo è l’impegno – per farlo potranno essere anche incrinati rapporti internazionali, se necessario, o forzato il bon ton dei rapporti istituzionali. Che serva a qualcosa è tutto da dimostrare, ovviamente, però la linea politica è tracciata. E il primo segnale che filtra, a vertice in corso, è il nervosismo contro gli uffici giudiziari milanesi. Perché in momenti delicati anche sul piano delle relazioni diplomatiche hanno fatto filtrare due notizie negative: l’esistenza del documento americano che invita l’Italia a non concedere i domiciliari a Mohammad Abedini, l’ingegnere iraniano ora in carcere su richiesta degli Stati uniti perché accusato di essere al soldo dei pasdaran, e il parere negativo del procuratore generale presso la corte d’appello alla richiesta di domiciliari per lo stesso Abedini, avanzata dall’avvocato Alfredo De Francesco. Il primo non è neppure un documento di oggi, era stato inviato alla corte diversi giorni fa, tanto che il legale nella sua richiesta di scarcerazione ne ha tenuto conto. Il secondo è una valutazione di oggi è vero, ma vista la necessità di discrezione, palazzo Chigi si aspettava che non fosse divulgato o che l’intero procedimento fosse sottoposto a qualche vincolo di segretezza.

I tempi

Il fattore tempo è quello che viene considerato determinante più di ogni altra cosa, visto, tra l’altro che al momento l’Iran non ha neppure rispettato gli impegni sulla modalità di detenzione della reporter (niente generi di conforto, niente vestiti, niente letto, persino via gli occhiali) che erano stati dati per certi. L’idea è poi quella di utilizzare per l’eventuale strappo i giorni che vanno da ora all’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, il 20 gennaio prossimo: per il presidente eletto sarebbe più facile incassare un no da parte dell’Italia, qualora questo arrivasse quando il presidente è ancora Joe Biden.

L’estradizione

E appunto, almeno per ora, l’indicazione che Meloni ha dato al guardasigilli Carlo Nordio è che alla richiesta di estradizione di Mohamad Abedini bisognerà dire di no. Che lo faccia il tribunale di Milano entro il 14 gennaio o che sia necessario usare l’articolo 697 bis del codice di procedura penale che permette al ministro di dire no anche con accordi internazionali vigenti, quando l’estradizione “può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato”.

Il ruolo della Turchia

Ovviamente un no all’estradizione difficilmente si trasformerà in una liberazione, o in un sì alla fuga, perché questo sarebbe troppo anche sul piano dell’immagine del paese. Ma è qui che si inserirebbe la mediazione da parte della Turchia, ventilata in questi giorni. Recep Erdogan e il suo governo potrebbero garantire all’Iran altri tipi di rassicurazioni, aumentando il pressing per l’espulsione di Sala, assicurando che Abedini non andrà in ogni caso negli Stati uniti. E prendendo tempo circa la sua liberazione e rimpatrio in Iran che è, obiettivamente, la parte più complicata della vicenda.

Foto di copertina: ANSA/Filippo Attili

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