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Goodbye Green Deal, dall’auto elettrica alla tassa sul carbonio: tutti i dossier verdi che potrebbero saltare nella Ue nel 2025

02 Gennaio 2025 - 07:19 Gianluca Brambilla
green deal clean deal europa
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Bruxelles aveva promesso che non ci sarebbe stato alcun passo indietro sulla transizione ecologica. In realtà, il processo è già in atto e continuerà (probabilmente) anche nei prossimi mesi

Che fine ha fatto l’agenda verde europea? A sei mesi dalle elezioni dello scorso giugno, il Green Deal è quasi sparito dai discorsi di Ursula von der Leyen e della sua nuova squadra di commissari. O meglio: di Green Deal si continua a parlare, ma solo ed esclusivamente quando c’è da decidere se cancellare un provvedimento già approvato o posticiparne uno che sta per entrare in vigore. Quando a Strasburgo la presidente della Commissione europea ha chiesto la fiducia per restare in carica altri cinque anni, ha assicurato che non ci sarebbe stato alcun passo indietro su quell’ambizioso progetto che punta a rivoluzionare l’economia del Vecchio Continente e contrastare i cambiamenti climatici. Eppure, a guardare bene, di passi indietro sul Green Deal ce ne sono stati parecchi. E anche ora che il nuovo esecutivo comunitario è ufficialmente entrato in carica, non è chiaro cosa intenda fare.

Cambia il lessico, cambiano le priorità

Una cosa è certa: molte cose sono cambiate rispetto a cinque anni fa. E a dimostrarlo sono anche le scelte lessicali con cui negli ultimi mesi i vertici dell’Unione europea hanno cominciato a descrivere la transizione ecologica ed energetica in atto. L’aggettivo «green» (verde) è stato sostituito sempre più spesso da un più neutro «clean» (pulito). La «difesa della natura» ha ceduto il passo alla «difesa dell’industria». E ancora: la sostenibilità – non solo ambientale – è stata accantonata per far posto alla competitività, finita al primo posto dell’agenda politica su suggerimento di Mario Draghi. La dimostrazione più lampante di questa evoluzione lessicale si può riscontrare nella prima grande iniziativa che segnerà il von der Leyen bis: il Clean Industrial Deal, un maxi-piano pensato per incentivare la produzione di tecnologie pulite (pannelli solari, batterie, pale eoliche, pompe di calore e non solo) e accompagnare le aziende nel lungo percorso verso la neutralità climatica.

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Una protesta degli agricoltori di fronte alla sede del Parlamento europeo di Bruxelles, 4 giugno 2024 (EPA/Olivier Hoslet)

Tutti i passi indietro dell’Unione europea sul Green Deal

Il Clean Industrial Deal sarà svelato ufficialmente a gennaio o febbraio 2025. Nei piani di Bruxelles, l’iniziativa dovrebbe essere una sorta di prosecuzione naturale del Green Deal, uno strumento con cui dare forma e sostanza agli ambiziosi obiettivi fissati negli ultimi anni. Questa «fase due» dell’agenda verde europea, accolta con favore anche dai partiti ecologisti, comprendeva anche la promessa di non fare marcia indietro sui provvedimenti già approvati nell’ultima legislatura. Ed è proprio qui che si è consumato il voltagabbana della nuova Commissione europea.

Le proteste degli agricoltori

Le prime avvisaglie sono arrivate a inizio 2024, quando Bruxelles ha cercato di placare la rabbia degli agricoltori rimettendo mano ad alcuni vincoli ambientali della Pac (la Politica agricola comune dell’Unione europea) e cancellando una proposta di legge per limitare l’uso di pesticidi in agricoltura.

Il caos della legge sulla deforestazione

Alle proteste degli agricoltori ha fatto seguito poco più tardi la richiesta da parte di alcuni governi (tra cui l’Italia) di rinviare l’entrata in vigore dello Eudr, il regolamento europeo contro la deforestazione. In un primo momento, la Commissione ha ignorato l’appello dei governi ma ha anche pubblicato con grande ritardo – secondo alcuni gruppi politici, di proposito – le linee guide che avrebbero dovuto seguire le aziende per rispettare le nuove regole. Quest’ultima circostanza ha fatto sì che anche i gruppi di centrosinistra del Parlamento europeo – quelli meno inclini a ostacolare la transizione ecologica – abbiano acconsentito al rinvio del regolamento, che pure ha creato un piccolo terremoto politico.

La “vendetta” contro i lupi

A inizio dicembre, la Commissione europea ha anche incassato il via libera del Consiglio d’Europa al declassamento del lupo da «specie rigorosamente protetta» a «specie protetta». Una modifica che non ha a che fare direttamente con il Green Deal, ma che in molti hanno giudicato come in aperta contraddizione rispetto all’agenda verde di Bruxelles.

L’auto elettrica in panne

L’ultimo dossier che ha finito per mettere sul banco degli imputati il Green Deal è la crisi dell’automotive europeo. Nel 2024, le vendite di auto elettriche non sono state all’altezza delle previsioni e diversi costruttori hanno annunciato licenziamenti di massa e chiusura delle fabbriche. Il governo italiano si è fatto capofila, insieme alla Repubblica Ceca, della battaglia politica per riaprire il regolamento europeo sulle auto. Lo stesso che prevede lo stop alle produzione di nuove vetture a benzina e diesel a partire dal 2035. La richiesta di ridiscutere il provvedimento già nel 2025 – anziché, come previsto, nel 2026 – non è detto che vada in porto. C’è però un altro fronte su cui Bruxelles sembra destinata a cedere ed è quello che riguarda il congelamento delle multe per le case automobilistiche che il prossimo anno non rispetteranno gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso, in prima linea in Europa per la riapertura del regolamento europeo sulle auto (ANSA/Angelo Carconi)

Cosa rischia di saltare nel 2025

Se è vero, per parafrasare Agatha Christie, che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova», allora è lecito pensare che la revisione del Green Deal proseguirà anche nel 2025.

Lo scontro sull’automotive

Il primo dossier su cui si potrebbe ipotizzare un passo indietro è proprio quello relativo alle auto. La richiesta del governo italiano di riaprire il regolamento sulle emissioni di CO2 delle automobili ha incassato di recente il sostegno del governo tedesco, finito nel bel mezzo di una crisi politica che culminerà con le elezioni anticipate del prossimo febbraio. Il ministro Urso preme affinché i provvedimenti europei sulla transizione del settore automotive includano anche un ruolo per i biocarburanti, un settore che vede in prima linea il colosso italiano Eni. Se il congelamento delle multe per i costruttori sembra a un passo, è decisamente più in salita la strada per cancellare lo stop alla produzione di nuove auto a combustione dal 2035.

Verso il rinvio del’Ets 2 per case e trasporti?

Un altro pilastro del Green Deal che rischia di saltare il prossimo anno è quello relativo al mercato europeo del carbonio, noto come Ets, che dal 2027 si applicherà anche a edifici e trasporto su strada. Si tratta, in poche parole, di un sistema che impone un tetto massimo di emissioni e un equivalente numero di quote, che possono essere acquistate o vendute dalle aziende in base a quanto emettono. La prima versione di questo mercato si applica solo ai settori più inquinanti, ma dal 2027 sarà esteso anche alle emissioni di CO2 degli edifici, del trasporto su strada e ad altri settori della piccola industria. Secondo alcuni governi, tra cui quello italiano, l’Ets 2 «potrebbe aumentare i costi a carico delle aziende», che li scaricherebbero (almeno in parte) sui consumatori. Da qui, dunque, la richiesta alla Commissione europea di posticipare le nuove regole al 2028.

Lo scontro per cambiare la tassa sul carbonio

E a proposito di rinvii, il governo Meloni si sta battendo in Europa per rivedere un altro meccanismo tanto complesso quanto fondamentale per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. Si tratta del Cbam, il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere. Questo strumento non è altro che una tassa ambientale, che si applica sulle merci importate dai Paesi extra-Ue che godono di un vantaggio competitivo a causa di regole molto più blande sulle emissioni. Lo scorso 27 dicembre, il ministro Urso ha annunciato che l’Italia presenterà un documento strategico – insieme a Polonia, Bulgaria, Austria e Malta – per rivedere le norme sul Cbam. Anche in questo caso, l’idea è di rinviare l’entrata in vigore, attualmente prevista per il 2026, oppure di escludere alcuni settori.

L’incognita del Clean Industrial Deal

A fugare ogni dubbio sulla traiettoria che sceglierà di prendere Bruxelles sarà il tanto annunciato Clean Industrial Deal, che sarà svelato con ogni probabilità a febbraio. Le sfide a cui questo piano dovrà provare a dare una risposta sono diverse: dallo stimolo agli investimenti (secondo Draghi l’Ue dovrebbe mobilitare 450 miliardi di euro all’anno per finanziare la transizione) alla creazione di una vera e propria filiera delle energie pulite, così da rendersi più indipendenti dalle importazioni cinesi. E poi ci sono altre due questioni sul tavolo. La prima è legata al Fondo per la competitività, che dovrà fornire risorse finanziarie ai settori strategici. La seconda questione ha a che fare invece con lo «shock semplificativo» promesso dalla Commissione europea, con l’obiettivo di ridurre gli oneri burocratici per le imprese e ridurre i tempi di autorizzazione per i progetti legati alla transizione verde. Ciò che gli ecologisti temono è che questo «shock» passi anche da una revisione delle norme del Green Deal approvate negli ultimi anni. Un processo che, al netto delle rassicurazioni che arrivano da Bruxelles, sembra a tutti gli effetti già in corso.

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I commissari europei Teresa Ribera Stephane Sejourne (EPA/Olivier Hoslet)

In copertina: La presidente della Commissione europea durante la conferenza stampa di presentazione del Green Deal Industrial, 1 febbraio 2023 (EPA/Stephanie Lecocq)

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