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Rompe il femore a un compagno di classe con una spinta, condannati i genitori: 14mila euro di risarcimento per «carenza educativa»

03 Gennaio 2025 - 13:04 Ygnazia Cigna
famiglia risarcita 14mila euro bambino femore rotto
famiglia risarcita 14mila euro bambino femore rotto
Il caso di una festa di compleanno tra bambini delle elementari finito con una famiglia risarcita per danni morali e materiali e per le spese mediche sostenute per il figlio di 9 anni

Una cifra che pesa come un macigno: 14.600 euro. È questo l’importo che una famiglia è stata condannata a risarcire ai genitori di un bambino, vittima di un episodio di violenza apparentemente banale ma con conseguenze gravi. Protagonisti della vicenda, due bambini di 9 anni, coetanei e compagni di classe, che nell’estate 2018 si trovavano in un parco divertimenti di Lecce per festeggiare un compleanno. L’atmosfera della festa si è incrinata quando uno dei due, ignorando i ripetuti richiami di un adulto che lo invitava a rispettare il proprio turno, è salito all’improvviso sul tappeto elastico già occupato e ha spinto violentemente il compagno di classe, facendolo cadere. Il piccolo è stato portato in ospedale dove gli è stata diagnostica una frattura al femore, seguita da un intervento chirurgico delicato e una lunga riabilitazione che ha segnato il bambino e la sua famiglia per mesi. Il caso è finito nelle aule del Tribunale di Lecce, dove i giudici non hanno esitato a puntare il dito contro i genitori del bambino responsabile, ritenendoli colpevoli di una grave «carenza educativa».

La decisione dei giudici: 14.600 euro di danni morali e materiali

A distanza di anni dall’incidente, il Tribunale di Lecce ha emesso una sentenza che non lascia spazio a interpretazioni: i genitori del bambino responsabile, riferisce Orizzonte Scuola, dovranno risarcire oltre 14.600 euro per danni morali e materiali, a cui si aggiungono 1.700 euro per le spese mediche sostenute dalla famiglia della vittima. Il giudice ha analizzato il comportamento del bambino, attribuendolo a una chiara mancanza educativa da parte della famiglia. Nella motivazione della sentenza, si parla di una «mancanza di rispetto per gli altri e di un’incapacità di dominare i propri istinti e di accettare le regole», tratti che il magistrato ha ritenuto imputabili a una carenza di guida genitoriale. La difesa, nel tentativo di scagionare i genitori, aveva cercato di attribuire la responsabilità agli organizzatori della festa e al titolare della struttura, sostenendo che la sorveglianza dei bambini fosse stata delegata a loro. Ma i giudici hanno respinto categoricamente questa linea, sottolineando con fermezza che «è dovere dei genitori educare i figli al rispetto altrui, correggendo atteggiamenti imprudenti o pericolosi». Nessuna delega, ha chiarito il tribunale, può sollevare i genitori dalla loro responsabilità fondamentale: quella di crescere i figli in modo da renderli rispettosi delle regole e consapevoli delle conseguenze delle loro azioni.

La sentenza precedente e cosa dice la legge

Non è la prima volta che una sentenza punta il dito contro la responsabilità genitoriale per fatti di questo tipo. Pochi mesi fa, un episodio simile aveva acceso il dibattito: a Pistoia, una coppia era stata condannata a risarcire 85mila euro per il comportamento della figlia 14enne, che mentre era scuola ha spintonato una compagna, provocandole un trauma cranico e un profondo taglio di 12 centimetri sul volto. Anche in quel caso, i giudici si erano rifatti alle disposizioni del Codice Civile, in particolare all’articolo 2048. Questa norma attribuisce ai genitori (o ai tutori) la responsabilità per i danni causati dai figli minorenni conviventi, applicando il principio della culpa in educando. Si tratta di un duplice dovere: da una parte, l’obbligo di vigilare sui comportamenti dei figli; dall’altra, la responsabilità educativa di trasmettere valori fondamentali come il rispetto delle regole e il vivere civile. La legge è chiara: anche in assenza fisica dei genitori, questi ultimi rispondono dei danni causati dai figli. Nei casi come questo e quello di Pistoia, la norma ammette un’unica via d’uscita: la cosiddetta prova liberatoria, con la quale i genitori devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire il fatto e che l’evento fosse quindi inevitabile. Ma, come dimostrano casi come quello di Lecce e Pistoia, fornire questa prova in sede giudiziaria si rivela il più delle volte un’impresa ardua.

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