Rompe il femore a un compagno di classe con una spinta, condannati i genitori: 14mila euro di risarcimento per «carenza educativa»
Una cifra che pesa come un macigno: 14.600 euro. È questo l’importo che una famiglia è stata condannata a risarcire ai genitori di un bambino, vittima di un episodio di violenza apparentemente banale ma con conseguenze gravi. Protagonisti della vicenda, due bambini di 9 anni, coetanei e compagni di classe, che nell’estate 2018 si trovavano in un parco divertimenti di Lecce per festeggiare un compleanno. L’atmosfera della festa si è incrinata quando uno dei due, ignorando i ripetuti richiami di un adulto che lo invitava a rispettare il proprio turno, è salito all’improvviso sul tappeto elastico già occupato e ha spinto violentemente il compagno di classe, facendolo cadere. Il piccolo è stato portato in ospedale dove gli è stata diagnostica una frattura al femore, seguita da un intervento chirurgico delicato e una lunga riabilitazione che ha segnato il bambino e la sua famiglia per mesi. Il caso è finito nelle aule del Tribunale di Lecce, dove i giudici non hanno esitato a puntare il dito contro i genitori del bambino responsabile, ritenendoli colpevoli di una grave «carenza educativa».
La decisione dei giudici: 14.600 euro di danni morali e materiali
A distanza di anni dall’incidente, il Tribunale di Lecce ha emesso una sentenza che non lascia spazio a interpretazioni: i genitori del bambino responsabile, riferisce Orizzonte Scuola, dovranno risarcire oltre 14.600 euro per danni morali e materiali, a cui si aggiungono 1.700 euro per le spese mediche sostenute dalla famiglia della vittima. Il giudice ha analizzato il comportamento del bambino, attribuendolo a una chiara mancanza educativa da parte della famiglia. Nella motivazione della sentenza, si parla di una «mancanza di rispetto per gli altri e di un’incapacità di dominare i propri istinti e di accettare le regole», tratti che il magistrato ha ritenuto imputabili a una carenza di guida genitoriale. La difesa, nel tentativo di scagionare i genitori, aveva cercato di attribuire la responsabilità agli organizzatori della festa e al titolare della struttura, sostenendo che la sorveglianza dei bambini fosse stata delegata a loro. Ma i giudici hanno respinto categoricamente questa linea, sottolineando con fermezza che «è dovere dei genitori educare i figli al rispetto altrui, correggendo atteggiamenti imprudenti o pericolosi». Nessuna delega, ha chiarito il tribunale, può sollevare i genitori dalla loro responsabilità fondamentale: quella di crescere i figli in modo da renderli rispettosi delle regole e consapevoli delle conseguenze delle loro azioni.
La sentenza precedente e cosa dice la legge
Non è la prima volta che una sentenza punta il dito contro la responsabilità genitoriale per fatti di questo tipo. Pochi mesi fa, un episodio simile aveva acceso il dibattito: a Pistoia, una coppia era stata condannata a risarcire 85mila euro per il comportamento della figlia 14enne, che mentre era scuola ha spintonato una compagna, provocandole un trauma cranico e un profondo taglio di 12 centimetri sul volto. Anche in quel caso, i giudici si erano rifatti alle disposizioni del Codice Civile, in particolare all’articolo 2048. Questa norma attribuisce ai genitori (o ai tutori) la responsabilità per i danni causati dai figli minorenni conviventi, applicando il principio della culpa in educando. Si tratta di un duplice dovere: da una parte, l’obbligo di vigilare sui comportamenti dei figli; dall’altra, la responsabilità educativa di trasmettere valori fondamentali come il rispetto delle regole e il vivere civile. La legge è chiara: anche in assenza fisica dei genitori, questi ultimi rispondono dei danni causati dai figli. Nei casi come questo e quello di Pistoia, la norma ammette un’unica via d’uscita: la cosiddetta prova liberatoria, con la quale i genitori devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire il fatto e che l’evento fosse quindi inevitabile. Ma, come dimostrano casi come quello di Lecce e Pistoia, fornire questa prova in sede giudiziaria si rivela il più delle volte un’impresa ardua.