In Evidenza CapodannoCecilia SalaTerrorismo
ESTERIArrestiArtem UssCarcereCecilia SalaGoverno MeloniInchiesteIranItaliaSpagnaUSA

Artem Uss, la manager spagnola, il violentatore americano: chi sono i sette stranieri fuggiti dall’Italia durante i domiciliari

03 Gennaio 2025 - 14:23 Alessandra Mancini
sala-abredini-usa-magistrati-domiciliari
sala-abredini-usa-magistrati-domiciliari
Dagli Usa è arrivato ieri un appello ai magistrati italiani: «Non azzardatevi a mettere Abedini ai domiciliari, voi italiani che in 5 anni vi siete già fatti scappare dai domiciliari 7 estradabili»

La condizioni detentive di Cecilia Sala, giornalista di Chora Media e del Foglio e “dell’uomo dei droni” Mohammad Abedini Najafabani, arrestato a metà dicembre su richiesta degli Stati Uniti, sono legate a doppio filo. Non è più un mistero. E se da una parte l’Iran chiede la liberazione del proprio cittadino, dall’altra il dipartimento di giustizia americano si rivolge ai giudici della Corte d’Appello di Milano. Che sono chiamati a pronunciarsi il prossimo 15 gennaio sulla richiesta degli arresti domiciliari presentata dalla difesa dell’ingegnere. Dagli Usa è arrivato ieri un appello ai magistrati italiani, che suona un po’ come una (mezza) minaccia: «Non azzardatevi a mettere Abedini ai domiciliari, voi italiani che in 5 anni vi siete già fatti scappare dai domiciliari 7 estradabili». E a cominciare da Artem Uss, l’imprenditore russo figlio di un oligarca vicinissimo a Vladimir Putin su cui pendeva una richiesta di estradizione avanzata sempre dagli Stati Uniti ed evaso dai domiciliari a Milano a marzo del 2023. 

Chi sono gli altri sei?

Sulla vicenda si era espresso il Consiglio superiore della magistratura lo scorso 4 ottobre, che aveva assolto i magistrati – sotto procedimento disciplinare sollecitato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio – che applicarono la misura cautelare. È lui il precedente in cima alla lista nella nota con cui gli Usa chiedono di non dare i domiciliari all’iraniano. Dopo il russo, compaiono altri nomi: il nigeriano Efeturi Simeon, accusato dagli Stati Uniti di aver frodato tra il 2019 e il 2021 enti pubblici e privati, inclusi numerosi distretti scolastici, università e ospedali, ed evaso da Milano prima di essere trasferito in Oregon; Laura Virginia Fernadez Ibarra, manager spagnola fuggita dai domiciliari a Firenze. Lo statunitense Christopher Charles Garner, ricercato dagli investigatori statunitensi per reati sessuali, è invece fuggito da Genova, mentre il greco Christos Panagiotakopoulous da Venezia. La svizzera Daisy Teresa Rafoi Bleuler, accusata dai procuratori del Texas di corruzione, reati finanziari e di aver intascato tangenti, è scappata da Milano. E, infine, il tedesco Uwe Bangert mandato ai domiciliari dai giudici di Trento nel 2019 e poi fuggito prima dell’estradizione.

I due fuochi

L’ingegnere iraniano, con permesso di soggiorno svizzero, si trova ora nel carcere di Opera dove ha fatto sapere tramite il suo legale che «pregherà» anche per Sala, e dove per la giustizia Usa dovrà rimanere poiché ritenuto un «soggetto pericoloso». Di parere contrario l’ambasciatore dell’Iran a Roma che spinge invece per i domiciliari: «Vi garantiremo che non scapperà, ci teniamo a mantenere ottimi rapporti con l’Italia», il messaggio del diplomatico. Sulle sorti di Abedini si pronuncerà la Corte d’Appello di Milano. Ieri, la procura generale ha dato parere negativo alla richiesta della misura cautelare presentata dalla difesa dell’ingegnere. L’ufficio ritiene, infatti, che «le circostanze espresse nella domanda e in particolare la messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del Consolato dell’Iran, unitamente a eventuali divieti di espatrio e obbligo di firma, non costituiscano un’idonea garanzia per contrastare il pericolo di fuga». Tra chi ricatta e spinge per i domiciliari, l’Iran, e chi invece minaccia ed è contrario alla misura cautelare, gli Usa, si trova il governo Meloni. Che non accetterà – a detta dell’esecutivo – alcuna intimidazione, né da Oriente e neppure da Occidente. Sebbene sia ora in corso un’interlocuzione con le autorità statunitensi, fanno sapere fonti informate. Per l’esecutivo la prima urgenza è diventata «ottenere condizioni decenti e accettabili», com’è stato stabilito durante il vertice convocato ieri a Palazzo Chigi dopo le notizie secondo cui la giornalista non avrebbe mai ricevuto generi di prima necessità nella prigione a Teheran. Eppure, ciò che è certo è che in mezzo a tutte queste pressioni c’è una giornalista rinchiusa da più di due settimane in condizioni preoccupanti, che deve essere liberata. Al più presto. E prima che Donald Trump si insedi.

Articoli di ESTERI più letti
leggi anche