Ora la Cassazione dà ragione ai detenuti: diritto all’intimità quando si incontra il coniuge. Stabiliti dei limiti al controllo visivo
Impedire colloqui intimi tra i detenuti e i loro coniugi è incostituzionale. A sancirlo è la Cassazione, riporta oggi Il Messaggero in un pezzo a firma di Federica Pozzi. Già il principio era stato ribadito in una sentenza della Corte Costituzionale dello scorso dicembre, quella del ricorso di A.S., 34enne di Formia, recluso nel carcere di Asti. A cui era stato negato un incontro con la moglie intimo perché «la struttura non lo consente». Un provvedimento impugnato dal detenuto dinanzi al Tribunale di sorveglianza di Torino fino a un ricorso in Cassazione, finito poi a favore del detenuto. «La libertà di godimento delle relazioni affettive costituisce un diritto costituzionalmente tutelato» e quindi lo stop ai colloqui senza sorveglianza ci può esser solo per «ragioni di sicurezza o di mantenimento dell’ordine e della disciplina, ovvero dalla pericolosità sociale del detenuto o da ragioni giudiziarie per l’imputato».
Le motivazioni: «Compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto e della libertà della persona a questi legata»
«Abbiamo da poco concluso un tavolo di lavoro con il Dap – ha spiegato al messaggero Irma Conti, Garante nazionale delle persone private della libertà personale – Le nostre proposte anche in merito agli incontri saranno vagliate dagli organi competenti che decideranno quale sarà la migliore soluzione da adottare». «Credo però che la concessione di permessi ad hoc, per poter effettuare questi tipi di colloquio al di fuori del carcere, sia la soluzione più pratica», ha spiegato il Garante. Quindi per il garante non si possono concedere delle stanze dell’amore. Meglio, laddove è possibile, l’utilizzo di permessi. Nelle motivazioni della sentenza ci si basa sul parere della Corte Costituzionale che stabilisce l’illegittimità dell’articolo 18 dell’Ordinamento penale, nella parte in cui «non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia». Questo perché l’obbligo «assoluto e inderogabile» di essere controllati crea una «compressione sproporzionata e irragionevole della dignità del detenuto e della libertà della persona a questi legata da una stabile relazione affettiva». che infine non ricade solo sul detenuto ma anche sul coniuge, in libertà, costretto a coltivare una relazione “monca”.