Domenico Starnone e “L’Amica Geniale”: «Basta dire che l’ho scritto io, sono frottole ma è un ottimo libro»
Lo scrittore Domenico Starnone parla oggi in un’intervista al Corriere della Sera di cosa l’ha spinto a cominciare il suo mestiere: «Non so, forse, tra l’altro, a un incipit di Italo Calvino che mi causò un magnifico sbandamento. Avevo 17 anni, in casa non c’erano libri. Guadagnavo qualche lira dando ripetizioni e compravo libri alle bancarelle dell’usato. Era tutta roba ottocentesca, dai Misteri di Parigi ad Anton Cechov, da Rocambole a Lev Tolstoj. Entro nel ’900 perché il padre di un mio amico era amico di un libraio che gli prestava qualche volume appena uscito. Il mio amico li passava a me, facendomi giurare che non li avrei rovinati. Così lessi I racconti di Calvino tra cui Luna e Gnac : “La notte durava venti secondi, e venti secondi il Gnac” è un incipit strepitoso, se hai 17 anni e un minimo di vocazione per la scrittura».
Da bambino
Da bambino, rivela, era «un malinconico, che si metteva in un angolo ed entrava in un’altra realtà, dove si poteva essere il cavaliere e il cavallo, la tigre e il cacciatore. Uno dei grandi piaceri dell’infanzia è potersi inventare mondi diversi da quello in cui sei capitato. Leggere e scrivere diventano la prosecuzione di quel piacere». Con la maggiore età è diventato insegnante. Poi ha scritto “Via Gemito”, che vince il Premio Strega 2001: «Io ho raccontato il padre nelle famiglie che si erano formate fra gli anni Trenta e i primi Quaranta, padri cresciuti sotto il fascismo, educati a “fare l’uomo”, espressione introiettata e ripetuta dalle donne di casa: non sai fare l’uomo. Poi, sono passato alla mia generazione. Eravamo stati educati anche noi a fare l’uomo e di quell’imperativo non ci siamo liberati neanche nel clima postsessantottesco: il ciclostile era roba da donne. Però siamo stati rieducati, abbiamo provato altri modelli di coppia e di famiglia, è stato un passaggio d’epoca forte, traumatico. Ma siamo cambiati in superficie, i tratti di fondo della cultura patriarcale ce li siamo portati dietro in ogni ambito».
Turetta e Cecchettin
Secondo Starnone Filippo Turetta non voleva che Giulia Cecchettin si laureasse prima di lui perché «forse gli è sembrato che la laurea ratificasse la potenza della ragazza e la rendesse dominante. Subalterna devi essere tu, non io che devo “fare l’uomo”. Quindi ti ammazzo perché lì ci vedo la certificazione della mia impotenza». E poi: «Quando ho lasciato l’insegnamento, ho fatto un patto con me stesso: che non avrei più parlato di scuola, per evitare di farlo a vanvera. Dopo il fervore degli anni Settanta, quella degli anni Ottanta era già, di nuovo, una brutta scuola. L’idea che potesse assicurare a tutti un’istruzione e una formazione di qualità era già contraddetta dai fatti».
«Un’unica sofferenza da raccontare»
Secondo Starnone «tutti abbiamo un’unica sofferenza da raccontare». La sua è «la perdita prematura della figura materna, che è stata per me l’acquisizione della mortalità. E poi la paura di non avere strumenti sufficienti per dare forma all’esperienza. Nei miei libri ricorrono personaggi un po’ spaventati dalla loro medietà, che hanno più ambizioni che strumenti per realizzarle. Ho provato a raccontarli, fanno la loro apparizione già nelle Illusioni perdute di Honoré de Balzac, attraversano tutto il ’900 e diventano una marea montante negli ultimi decenni. È una folla che giustamente vuole dar prova della propria eccezionalità, ma scopre che nell’epoca dell’eccezionalità di massa è l’eccezionalità a sparire».
L’Amica geniale
Poi parla de “L’amica geniale”, fra i libri del secolo secondo il New Tork Times: «Se mi pronuncio siamo subito ai pettegolezzi». Per il sospetto che dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante si nasconda lei o sua moglie Anita Raja: «Sono frottole. Comunque credo che sia un ottimo libro. Ma il libro del secolo deve ancora arrivare».