La Bibbia, i datteri, la prima sigaretta: Cecilia Sala racconta il carcere di Evin
Cecilia Sala ha trascorso 20 giorni in una prigione «dove avevo perso il senso del tempo, non sapevo più quando era giorno e quando era notte». Chiusa in una cella «stretta e alta, senza letto, con una lampada sempre accesa e una piccola finestrella sul soffitto da cui passava l’aria ma che neanche riuscivo a vedere». Mangiando datteri e poco altro, passati da una feritoia della porta. E senza conoscere l’accusa sollevata nei suoi confronti. Poi la svolta nella notte tra martedì e mercoledì 8 gennaio: il trasferimento nella sede dell’ambasciata italiana a Teheran. Poi l’aereo per riportarla a casa. La Repubblica oggi riporta alcuni dettagli della detenzione della giornalista romana nel carcere di Evin.
«Ho chiesto una Bibbia»
Dove non ha mai ricevuto i pacchi con i generi di conforto e la mascherina per poter dormire la notte approntati dall’ambasciata italiana. «Ho chiesto una Bibbia», ha rivelato Sala ai familiari. «Presumevo che potesse essere un libro che ad Evin avevano in inglese. E perché comunque la Bibbia è un libro molto lungo…», ha spiegato. Nelle telefonate, ha rivelato, «ero costretta a leggere un messaggio, i miei mi facevano delle domande ma io non potevo dire di più perché avevo paura che mi facessero interrompere la conversazione». L’ambasciatrice italiana Paola Amadei «per quasi venti giorni è stato l’unico volto che ho potuto vedere». Poi la telefonata del primo gennaio: «Temevo davvero di non reggere più».
Violenze psicologiche
Sala non ha raccontato di violenze fisiche. Ma è rimasta in isolamento senza un letto e con la luce che non si spegneva mai. Due giorni fa la svolta: «Mi hanno spostato in una cella più grande e mi hanno portato gli occhiali. Ero insieme a una donna iraniana che non parlava una parola di inglese, quindi indicavamo gli oggetti nella stanza, lei ne diceva il nome in farsi e io in inglese». Il libro che le è stato portato “Kafka sulla spiaggia” il romanzo di Haruki Murakami. Le è stato anche consentito di chiamare di nuovo a casa. «Daniele, compralo anche te, nella stessa edizione, così lo possiamo leggere insieme, seppure a distanza », ha detto a Raineri.
La prima sigaretta
«Scusate se non riesco a parlare bene, sono giorni che non parlo con nessuno», ha detto all’arrivo. «Non so come comportarmi, che devo fare ora?». Le è stato spiegato che i carabinieri dell’Antiterrorismo del Ros la stavano aspettando in una stanza appartata per raccogliere la sua deposizione sulle condizioni della detenzione. «Ah ok, va bene… rompo il protocollo se prima vado a fumare? ». È uscita dall’hangar, per qualche minuto sola con il compagno, si è accesa una sigaretta. La prima in Italia.