Parla Cecilia Sala, l’isolamento e gli interrogatori in carcere: «Mai saputo perché ero dentro». Il senso di colpa per la compagna di cella
«Ad un certo punto ho visto il cielo e ho pianto di gioia». Sono queste alcune delle parole più toccanti pronunciate da Cecilia Sala nella prima puntata del suo podcast Stories, uscita oggi dopo il suo ritorno dall’Iran, dove per ventuno giorni è rimasta prigioniera nel carcere di Evin. Quello è stato uno degli unici due momenti di gioia vissuti mentre si trovava nella cella di isolamento, senza occhiali, senza un letto, senza poter dormire a causa della luce sempre accesa sopra la sua testa. «La prima volta che ho visto il cielo, per quanto in un piccolo cortile di un carcere, con le telecamere, col filo spinato, mi sono sentita bene e mi sono concentrata su quell’attimo di gioia. Ho pianto di gioia, ho riso di gioia e ho cercato di pensare ogni giorno che sarei potuta tornarci». A darle forza, racconta nella puntata che segue quanto detto ieri ai familiari, erano le piccole cose, come «un uccellino che faceva un suono buffo».
Perché è finita in carcere
La giornalista liberata ieri dopo giorni di lavoro diplomatico dell’Italia afferma di non aver ricevuto spiegazioni sul motivo del suo arresto. Solo dopo giorni gli ufficiali iraniani hanno iniziato a dare motivazioni, ma erano vaghe e confuse. «Tante azioni illecite», le è stato detto. Tornata a casa ricorda che lei invece veniva interrogata quasi tutti i giorni, e nel frattempo immaginava quali potessero essere i reati che l’Iran le contestava: «Magari qualcosa che volevano veramente sapere, magari qualcosa che servisse soltanto a confondermi», ricorda degli interrogatori. E aggiunge: «Io ho preso in considerazione di essere accusata di reati come quello che loro chiamano pubblicità contro la repubblica islamica: il reato che è contestato a Niloufar Hamedi, la giornalista che diede la notizia della morte di Mahsa Amini nel 2022».
L’unico libro concesso in cella
Dopo diversi giorni, le guardie le hanno concesso gli occhiali e un libro. Lei aveva chiesto il Corano in inglese. Ma il regime l’ha sorpresa con un tomo inaspettato: Kafka on the Shore, dello scrittore giapponese Haruki Murakami (Kafka sulla spiaggia, nella versione italiana). «Un libro triste, che non è il massimo in carcere. Ma è anche un libro pieno di sesso, cosa che non mi sarei aspettata di ricevere da una prigione della repubblica islamica dell’Iran». Infine la notizia: sarebbe stata liberata. «E nella mia gioia gigantesca, io quella notte non ho dormito perché volevo stare all’aperto, perché volevo aprire la finestra, volevo sentire la musica. Non ho dormito di gioia, di eccitazione, non di angoscia come nelle notti precedenti».
Il senso di colpa per la compagna di cella
Eppure Cecilia Sala ha un piccolo senso di colpa per la compagna di stanza, che dopo alcuni giorni era arrivata nella sua stessa cella di isolamento: Farzaneh. «Lei non parlava molto l’inglese, io parlo poco il farsi, però sì, qualcosa riuscivamo a comunicare a gesti, a coccole, ad abbracci, a sorrisi, a risate nel caso dell’uccellino. C’era una piccola finestrella in alto che ci permetteva per qualche ora del giorno di capire che ora fosse, e abbiamo dato un nome che era Hana al riflesso. Abbiamo dei giochi semplici per tenerci allegre o impegnate». «Però, diciamo, questo è il senso di colpa dei fortunati, lo sento un po’ in questo momento e per questo sono grata alle persone che di mestiere, lavorando in organizzazioni di tipi molto diversi, da quelle umanitarie a quelle di sicurezza, si prendono cura delle persone che sono nella condizione in cui ero io, che sono tante, e tante sono sottoposte a quel trattamento per tempi molto più lunghi, in alcuni casi senza scadenza».
Cecilia Sala e l’amore che resta per l’Iran
Nonostante tutto, conclude Sala, «io continuo ad amare l’Iran». «Amo, le donne iraniane che indossano fieramente il loro velo, ma non per questo vogliono che esista qualcuno che punisce, intimidisce le ragazze che non lo fanno e che non lo vogliono fare. Amo l’Iran nella, nella sua complessità, amo i miei amici, le ragazze, Farzaneh». Aggiunge la giornalista: «Non è cambiata la mia comprensione del Paese e non è, non è cambiata la mia affezione, non è cambiato il mio amore, il mio affetto. È aumentata la nostalgia ora che sono qui, ora che sono al sicuro, ora che posso guardare il cielo ogni volta che voglio».