La morte della madre, il rigore di Nanni Moretti e Diane Keaton che non aveva capito niente: Silvio Orlando racconta i suoi film e la sua carriera
L’attore Silvio Orlando parla oggi della sua vita e della sua carriera in un’intervista al Corriere della Sera. Partendo da quando ha capito che quello di recitare era il suo mestiere. Ovvero: «Nella fase napoletana, che va dal 1975 all’85. Parlo di teatro. Il cinema era tabù, non avevamo una lira. Ognuno aveva il proprio gruppo. Ci mettevamo in qualche scantinato e facevamo testi nostri, anche cose di teatro popolare napoletano, per carità. Fino a quando, a 27 anni, in modo rocambolesco andai a Milano, al teatro dell’Elfo dove c’era una compagnia importante. Cercavano un napoletano per la trasposizione di Comedians , con la regia di Salvatores. Da lì è nato tutto».
La madre
Nel colloquio con Valerio Cappelli Orlando dice che la morte della madre gli ha cambiato la vita: «Quella perdita accese un riflettore su di me, sentii un’onda di attenzione anche dai compagni. E mi sentii speciale, con quel desiderio di essere visto e ascoltato che poi avrei conquistato anni dopo come attore. Quando conosci il dolore nella sua forma più feroce ti abitui all’idea che si possa fare a meno quasi di tutto; da attore sono partito dal comico per esorcizzarlo e staccarmi da lì, mi sono rapportato all’idea di comunicare allegria e buonumore. Però, in modo sotterraneo, ha preso piede l’elemento melanconico. È difficile fare il comico per tutta la vita». Il suo primo ruolo importante è stato nel film Il Portaborse di Daniele Luchetti, in cui recitava con Nanni Moretti.
Nanni Moretti
«Cinque film insieme. Un sodalizio che dura dagli Anni 80 a oggi, di sottofondo ci sono affetto e stima. Investì su di me quando non era scontato ed era un rischio grosso. Palombella rossa, il mio debutto con lui, fu la svolta. La lavorazione andò fuori controllo, Nanni aveva problemi di salute e i tempi si dilatarono. C’era qualcosa di metafisico. Pensai, allora il cinema si fa così. La ripetizione di ciak mi sembrava insensata… però l’importante è il risultato finale», ricorda oggi. Paolo Sorrentino invece gli consegnò il cardinale Voiello: «Per The Young Pope ricordo il provino con l’ostacolo dell’inglese, gli chiesi di cambiare posto col suo assistente, avevo bisogno di avere il suo sguardo davanti a me. Da quel momento tutto partì».
Diane Keaton e Paolo Sorrentino
Di quel set ricorda Diane Keaton: «Lei non aveva capito niente di dove era stata paracadutata. Sembrava rapita con una botta in testa e portata sul set. Aveva una scena lunga. Disse, ma come si fa a recitare una cosa del genere? Imprecava, perché faccio questo lavoro? Tra noi due in scrittura c’era un amore tra le righe. Non fu facilissimo. Lei evaporava e intanto io pensavo che era stata il mio mito giovanile». Nel confronto tra Sorrentino e Moretti, «sono affascinato dal rigore di Nanni. Sorrentino ti fa sentire come una top model, con abiti fatti di parole, vuoti, silenzi, sguardi. Con lui mi sento come Naomi Campbell. Mi ha regalato due abiti meravigliosi da indossare, Voiello e il professore di Parthenope , uno dei pochi elementi narrativi del film, con un’umanità profonda che interrompe quel flusso di stupefacenti immagini sovrapposte. Io sono un’eresia all’interno del percorso di Paolo».
Il cellulare
Infine spiega perché a teatro, di recente, ha reagito contro un cellulare: «Ho reagito mio malgrado. A teatro si ha diritto di essere ascoltati, fai un patto con delle persone… Il discorso è tra la qualità di un attore da una parte, e dall’altra la maleducazione e la superficialità. Il vero miracolo oggi è che 600 persone riescano a stare per due ore senza cellulare. Mi meraviglio di come riescano a rinunciarvi. Cerco di far rientrare gli incidenti in momenti di spettacolo. Di solito faccio un annuncio prima. Quando succede l’intoppo ricomincio da capo, dal punto in cui il cellulare squilla o si imbianca per un messaggio. Io detesto l’idea del teatro come rito sacro del sacerdote che officia».