Il giardino più brutto del mondo si trova in Nuova Zelanda. Menzione d’onore a una casa di Brescia – Le foto
Erba gialla, aiuole disomogenee, piante un po’ in affanno ed erbacce che crescono anche sul cemento. È Leisa Elliott (nella foto qui in alto), residente nei pressi di Christchurch, in Nuova Zelanda, la vincitrice della seconda edizione del World’s Ugliest Lawn, il concorso che premia il prato più brutto del mondo. Si tratta di un’iniziativa nata un anno fa nel comune svedese di Gotland con un obiettivo nobile: promuovere il risparmio di acqua sull’isola. Nel 2022, un periodo di siccità ha spinto le autorità locali a imporre un divieto di irrigazione, che ha portato inaspettatamente a una vera e propria gara. Prima tra i residenti e poi in tutto il mondo.
Il giardino di Leisa Elliott
Elliott ha detto di aver cercato di creare un giardino «che si prendesse cura principalmente di se stesso, creando il suo ritmo naturale». E per l’irrigazione? «Qui annaffia Madre Natura. Quando arriva la pioggia, la trasformazione è sbalorditiva. Un’oasi dopo un deserto è uno spettacolo da vedere», assicura la vincitrice del concorso. La giuria, composta da residenti di Gotland, ha votato all’unanimità per far vincere il giardino di Elliott: «Il suo prato potrebbe non vincere concorsi di bellezza, ma conquista i cuori per il suo messaggio di sostenibilità e adattabilità».
E quello di Emilia Vallara, a Brescia
C’è anche un po’ di Italia nella seconda edizione del concorso. Pur non avendo vinto il premio di prato più brutto del mondo, la «menzione d’onore» dei giudici è andata al giardino di Emilia Vallara. «Immerso nel cuore di Brescia, il suo giardino è una celebrazione della natura lasciata interamente a se stessa. Questo terreno accidentato, con le sue pietre nascoste, i buchi imprevedibili e la vegetazione selvaggia, offre un fascino selvaggio che sfida le norme tradizionali del giardinaggio», si legge nelle motivazioni dei giudici svedesi. «Mai annaffiato né potato – continua il messaggio – il giardino prospera solo con la pioggia, abbracciando la bellezza grezza della natura selvaggia autosufficiente».