La mamma di Sara Cherici, condannata per la bici lanciata dai Murazzi: «Colpa mia, sono stata una pessima madre»
Tiziana è la madre di Sara Cherici. La ragazza è stata condannata a 16 anni di prigione perché, da maggiorenne, non ha fatto nulla per fermare i suoi amici che hanno lanciato una bici dalla balaustra dei Murazzi a Torino. Oggi Tiziana parla in un’intervista al Corriere della Sera. Nella quale dice che non vuole lasciare sola Sara: «Ha bisogno di noi, ha sbagliato ed è giusto che sia punita. Ma sono sua madre e non l’abbandonerò mai. Affronteremo tutto insieme, passo dopo passo. È anche colpa mia se è successo tutto ciò».
Il verdetto
Cherici intanto è nella sua stanza: «Sta sempre di là e piange. Questa storia l’ha costretta a crescere, ma è poco più di una bambina che deve affrontare una realtà più grande di lei». La loro vita è cambiata dal 21 gennaio 2023: «Sono state rovinate sei famiglie, quella di Glorioso più di tutte. Potessi sedere io su quella maledetta sedia a rotella, più volte l’ho chiesto a Dio. Prego tanto per Mauro, Dio deve aiutarlo, deve ridargli una vita. Darei la mia per lui». Su Sara si dà tutte le colpe: «Sono una pessima madre, ho fallito come genitore. Non sono riuscita a trasmettere a mia figlia determinati valori. Se solo fossi stata migliore. Sara non si è neppure confidata con me. Non le ho insegnato a distinguere il bene dal male».
La vittima
Poi parla di Mauro Glorioso: «Quel ragazzo aveva un futuro e una vita davanti. Ricordo che mia figlia maggiore chiese a Sara se avesse visto qualcosa, sapeva che aveva trascorso la serata in centro. Sara ha risposto di no, poi si è chiusa in se stessa. Un giorno mi dice “ti devo parlare”, pensavo fosse incinta. Magari fosse stato così, avrei persino preferito che mi dicesse che si drogava. E invece mi ha detto quello che avevano combinato quei tre ragazzi e che lei era con loro, ma che non aveva fatto nulla. Che neanche si era accorta di quello che era accaduto». Poi non ha denunciato «per paura. Perché viviamo in un quartiere orribile. Da quando è ai domiciliari, la gente ci chiama infami, assassini. Ci minacciano, dicono che meritiamo di morire bruciati in casa nostra, che ci taglieranno la testa. Pensano che lei abbia parlato, invece paga il suo silenzio. E il prezzo è troppo alto. Non siamo una famiglia di assassini».
Il perdono
La donna ricorda il momento della sentenza: «Quando mi hanno chiamato per dirmi della condanna e che Sara si era sentita male ho pensato le avessero dato i 12 anni chiesti dal pm, poi mi hanno detto 16 e il mondo mi è crollato addosso. La prima cosa che mi ha detto mia figlia è stata “mi dispiace”. Amore mio, sono io che devo chiederle perdono».