La verità sui treni in tilt il 2 ottobre: non solo colpa del celebre chiodo. Tutte scadute le sim d’allarme: il nuovo ad Donnarumma ha perso la pazienza
Sono stati due i treni in arrivo alla stazione centrale di Milano la mattina presto dell’11 gennaio sospettati di avere fatto saltare la rete elettrica mandando per ore in tilt il traffico ferroviario in tutta Italia: i cavi elettrici sono infatti strati tranciati dal pantografo di un vagone. Viaggiando quasi in contemporanea, non è ancora stato accertato quale dei due sia il responsabile di quanto è accaduto: uno era un convoglio ad alta velocità di Italo, l’altro di Trenitalia. Nelle prime ore sembrava fosse il primo, ma poi è sembrato più probabile il secondo. Come sempre queste inchieste su incidenti e disservizi ferroviari arrivano alla ricostruzione dei fatti con una certa calma, cercando di avere la verità quando ormai si è spento il clamore mediatico.
Il caos del 2 ottobre, il chiodo colpevole, Salvini preso di mira e l’inchiesta di Rfi
Anche per l’incidente del 2 ottobre che mandò nel caos il traffico ferroviario in tutta Italia per ore la verità completa è emersa dalle inchieste interne del gruppo Ferrovie dello Stato solo molte settimane dopo. Sulle prime l’intera responsabilità di quanto è successo è stata imputata a un operaio di una azienda esterna incaricata della manutenzione, che aveva piantato un chiodo bucando la canalina dove passavano i fili elettrici che alimentavano la stazione di Roma Termini, compresa la sala operativa, fondamentale per fare andare i treni. Mancata la corrente così sono subentrati per alcune ore i gruppi di continuità che hanno alimentato la stazione fino a quando non si sono esaurite le batterie. La versione del chiodo fu subito data dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini (bersaglio di polemiche e ironie per questo) e confermata due settimane dopo da Rfi che aveva condotto una inchiesta interna, decidendo poi di revocare l’appalto alla ditta di manutenzione in cui lavorava l’operaio che aveva piantato dove non poteva quel famoso chiodo.
I dubbi subito nati, l’altra inchiesta interna e la scoperta delle sim d’allarme scadute
La versione del chiodo con cui era stato chiuso pubblicamente l’incidente del 2 ottobre non era stata creduta da molti. Anche perché restava una domanda inevasa: come mai non era scattato l’allarme sulla elettricità saltata facendo intervenire immediatamente i tecnici che invece per ore non sono arrivati sul posto? I sistemi di sicurezza, infatti, hanno procedure per cui in caso di incidenti simili deve scattare l’allarme grazie a molte centraline appositamente installate che hanno il compito di inviare un sms e di telefonare sia a dirigenti del gruppo addetti alla sicurezza che agli stessi tecnici in grado di accorrere per riparare il danno. Solo nelle settimane successive, secondo quanto risulta ad Open, si è trovata l’incredibile risposta: tutte le sim inserite nelle centraline di allarme erano da tempo con il credito esaurito e si sono disattivate in automatico come ben noto dal contratto con gli operatori telefonici. Quindi niente sms e niente telefonate per avvisare i dirigenti e i tecnici addetti alla sicurezza. Lo stesso nuovo amministratore delegato del gruppo Fs, Stefano Donnarumma, è restato sconcertato dalla spiegazione ricevuta e ha chiesto di cercare e punire con sanzioni disciplinari chi doveva curare i rinnovi di quelle sim e non l’aveva fatto, come non si fosse trattato della sicurezza di decine di migliaia di viaggiatori, ma di un banale allarme di una abitazione privata.
La scelta di Donnarumma: è il momento di fare saltare teste dando una scossa a Fs
Mite di carattere per chi lo conosce, Donnarumma ha ormai perduto la sua proverbiale pazienza e, incidente dopo incidente, ritardo dopo ritardo, si è ormai convinto che sia venuto il momento per fare saltare teste rinnovando notevolmente l’esercito di dirigenti e responsabili del gruppo: qualcosa di ben più ampio di un rimpasto di cui da qualche tempo già si vociferava. Qualche brivido all’interno del corpaccione ferroviario già si sente, e a chi ha qualche anno più degli altri ed è riuscito a sopravviverne vengono in mente i tempi di Mauro Moretti e i primi mesi del suo successore, Michele Mario Elia. Il primo fu celebre per un meeting serale poi tracimato ad ora tarda con tutto il management e i quadri Fs poi passato alla storia aziendale come “la notte dei lunghi coltelli” per le epurazioni che ne sarebbero derivate. Elia appena arrivato al comando si mise un giorno al telefono chiamando uno dopo l’altro i capi area e i capi stazione delle Ferrovie dello Stato. «Mi può spiegare perché il treno xyz delle 7,45 è partito con 12 minuti di ritardo?», chiedeva inquisitorio Elia. E quando dall’altra parte capiva che il malcapitato cadeva dalle nuvole o farfugliava imbarazzato la prima sciocchezza, procedeva al suo licenziamento. Un esordio al fulmicotone, però non apprezzato dal governo di Matteo Renzi che lo aveva scelto: e infatti poco più di un anno dopo il licenziato fu proprio lui, Elia.