Gaza, la Casa Bianca conferma: «Intesa vicina tra Israele e Hamas sul cessate il fuoco». Ostaggi, prigionieri, ricostruzione: cosa prevede l’accordo
L’accordo tra Israele e Hamas per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza è vicino. Dopo che fonti di entrambe le parti lo avevano fatto trapelare ai media, è arrivata la conferma anche della Casa Bianca. Biden ha parlato al telefono con l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. «Non sto facendo promesse o previsioni, ma l’accordo è a portata di mano», ha dichiarato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, aggiungendo che l’amministrazione si è coordinata con il presidente eletto Trump. Da settimane, dopo il nuovo impulso dato dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa, erano ripresi i negoziati indiretti ospitati dal Qatar. Che negli ultimi giorni sembrano aver avuto una significativa accelerazione. Sabato, dopo aver incontrato a Gerusalemme, l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff, Benjamin Netanyahu ha deciso di inviare a Doha un team di vertice, composto dal capo del Mossad David Barnea, dal direttore dello Shin Bet Ron Bar, dal responsabile per gli ostaggi dell’Idf Nitzan Alon e dal consigliere politico dello stesso premier israeliano Ophir Falk. Il segnale quanto meno di un rinnovato interesse verso la conclusione di un accordo. Poi, nella notte tra domenica e lunedì, sarebbe arrivata una «svolta» nelle trattative. A seguito della quale, secondo Reuters, il Qatar avrebbe sottoposto a entrambe le parti il testo «finale» di accordo. Sia da Israele che da Hamas si sottolinea in queste ore come vi siano ancora nodi da sciogliere, ma anche come i negoziati siano di fatto all’ultimo miglio. «Hanno fatto progressi e stiamo lavorando per concludere al più presto ciò che resta da fare», ha fatto sapere nel primo pomeriggio un funzionario dell’organizzazione islamista. «Stiamo aspettando una risposta da Hamas: tutto ora dipende da Muhammad Sinwar», ribatte una fonte di alto livello israeliana, rilanciando la palla nel campo del leader di Hamas nella Striscia succeduto al fratello Yahya. A quanto risulta Hamas dovrebbe dare la sua risposta «definitiva» entro la mezzanotte di oggi, lunedì 13 gennaio.
Cosa prevede l’accordo in vista
Secondo quanto ricostruito dal Canale 12 israeliano il piano sul tavolo delle parti in guerra si svilupperebbe su tre fasi, ricalcando lo schema in discussione da mesi: nella prima fase, cessate le ostilità, verrebbero liberati 34 ostaggi israeliani – precedenza a donne, anziani e minorenni – in cambio del rilascio di un numero al momento imprecisato di detenuti palestinesi. Proprio a loro Hamas ha fatto arrivare nelle scorse ore un messaggio che già prelude ai toni baldanzosi dell’annuncio: «Presto sarete liberi». Nella seconda fase verrebbero restituiti a Israele anche i soldati e altri giovani presi in ostaggio – non è detto che si tratti di persone in vita. Infine, nella terza ed ultima fase le parti dovrebbero dedicarsi a discuteranno del nuovo governo della Striscia di Gaza e della sua ricostruzione. Con il cessate il fuoco si prevede anche un ingresso di volumi crescenti di aiuti umanitari per la popolazione palestinese. Per il leader dell’ultradestra israeliana Bezalel Smotrich, che ricopre il ruolo di ministro delle Finanze, l’accordo così delineato rappresenterebbe «una catastrofe nazionale». Suona come una minaccia di crisi di governo, potrebbe essere molto meno. «Ha bisogno di posizionarsi di fronte al suo elettorato, ma non credo voglia rinunciare al suo posto di ministro», graffia Lerman.
Nella prima fase c’è la sospensione temporanea delle operazioni militari reciproche delle parti e ritiro delle forze israeliane verso est e lontano dalle aree densamente popolate in un’area lungo il confine, in tutte le zone della Striscia di Gaza, compresa la Valle di Gaza (asse di Netzarim e rotonda del Kuwait). Prevista anche la sospensione temporanea dell’attività aerea (per scopi militari e di ricognizione) nella Striscia di Gaza per 10 ore al giorno e per 12 ore nei giorni di rilascio dei rapiti e dei prigionieri. Il ritorno degli sfollati nelle loro aree di residenza e il ritiro dalla Valle di Gaza (asse di Netsarim e rotonda del Kuwait). Il settimo giorno (dopo il rilascio di 7 detenuti), le forze israeliane si ritireranno completamente da Al-Rashid Street a est fino a Salah al-Din Street, e così via di area in area.
Poi c’è la seconda fase, in cui è previsto il rilascio di 33 ostaggi da parte di Hamas in cambio del rilascio di alcuni detenuti nelle strutture israeliane. «Se il numero di israeliani vivi rapiti di cui è previsto il rilascio non raggiungerà il 33, il numero sarà comunque completato per questa fase; in cambio, Israele rilascerà nella sesta settimana tutte le donne e i bambini (sotto i 19 anni) che sono stati arrestati dalla Striscia di Gaza dopo il 7 ottobre 2023».
La terza fase prevede l’attuazione del piano di ricostruzione della Striscia di Gaza «per un periodo da 3 a 5 anni, comprese le case, gli edifici civili e le infrastrutture civili, e il risarcimento per tutte le persone colpite, che inizierà sotto la supervisione di una serie di Paesi e organizzazioni, tra cui Egitto, Qatar e Nazioni Unite. Aprire i valichi e consentire la circolazione di persone e merci. I garanti dell’accordo sono Qatar, Egitto, Stati Uniti», recita la bozza d’accordo.
La tenaglia Trump-Biden su Netanyahu
«Sono ore decisive, la sensazione è che un accordo non sia mai stato così vicino», conferma a Open Eran Lerman, ex colonnello dell’esercito e alto dirigente di governo che oggi guida il Jerusalem Institute for Strategy and Security. Che alla luce delle dichiarazioni che filtrano con insistenza dalle due parti già guarda ai tempi e ai modi dell’annuncio: «Netanyahu deve guardarsi dall’opposizione interne dell’ultradestra, ma ha dalla sua un ampio consenso su un accordo che liberi finalmente quanti più ostaggi possibili. Ma anche Hamas cercherà senz’altro di vendere l’intesa come una vittoria». Quel che è certo è che il fattore Trump ha pesato e molto. «Se conosco i miei polli – riflette Lerman ricordando i suoi lunghi anni da dirigente per la politica estera nell’ufficio del primo ministro – Netanyahu ha dovuto cedere alla doppia pressione americana, dell’Amministrazione uscente e di quella entrante». Non a caso, in un segnale di non scontato allineamento, negli ultimi giorni sono piovute dichiarazioni pubbliche – oltre che manovre lontano dai riflettori – molto esplicite sia dagli uomini di Biden che da quelli di Trump. «Vediamo ottimi progressi, siamo fiduciosi che un accordo arriverà entro il 20 gennaio», aveva detto pochi giorni fa Steve Witkoff al fianco di Trump. «È necessario chiudere un accordo immediato», gli ha fatto eco Biden in prima persona parlando ieri al telefono con Netanyahu.