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Scuola, perché il ritorno ai giudizi sintetici per le elementari non piace ai pedagogisti: «Il ministero introduce la competizione tra i bambini»

13 Gennaio 2025 - 17:12 Ygnazia Cigna
scuola ritorno giudizi sintetici
scuola ritorno giudizi sintetici
Da valutazioni come «avanzato» e «intermedio» a «insufficiente» e «ottimo»: cosa cambia. L'esperto Cristiano Corsini spiega a Open perché, dal punto di vista pedagogico, è un «passo indietro»

Cambia ufficialmente la valutazione dei bambini alle scuole primarie (elementari). Trasformazione che riguarderà esclusivamente le pagelle, lasciando agli insegnanti la libertà di scegliere durante l’anno scolastico la modalità di voto che ritengono più adeguata. Fino ad oggi, il sistema si basava su quattro livelli descrittivi – avanzato, intermedio, base e in via di prima acquisizione – che, secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito (Mim), si sono rivelati poco chiari e inefficaci. Così, dopo anni di sperimentazioni e riflessioni, si è deciso di voltare pagina, o forse, di tornare alle origini, rispolverando una formula più diretta e familiare: i giudizi sintetici. Termini come insufficiente, sufficiente, discreto, buono, distinto e ottimo torneranno a popolare le pagelle, con l’obiettivo di delineare il percorso formativo degli alunni in modo più incisivo e immediato. «Questi giudizi sono più comprensibili rispetto ai livelli descrittivi – ha spiegato il ministro Giuseppe Valditara – perché permettono di tracciare con maggiore chiarezza il cammino educativo degli studenti, migliorando non solo la comunicazione con le famiglie, ma anche l’efficacia del sistema di valutazione». Il cambiamento è parte integrante della riforma sul voto in condotta, approvata in via definitiva a settembre 2024. Ora, con la firma e la diffusione dell’ordinanza ministeriale che chiarisce i dettagli attuativi, questa nuova era valutativa entra a piena regime.

Cosa cambia e lo scontro sulla parola «insufficiente»

Nell’ordinanza, il ministero ha voluto chiarire la propria posizione rispetto ad alcune richieste avanzate dal Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi), l’organismo incaricato di fornire supporto tecnico-scientifico sulle decisioni che interessano il mondo della scuola e dell’università. Tra le richieste respinte dallo staff di Valditara spicca quella di modificare o sostituire due dei giudizi sintetici previsti: sufficiente e non sufficiente. Secondo il Cspi, queste definizioni dovevano essere ripensate in modo da favorire meglio il miglioramento degli apprendimenti. Ma niente da fare: il ministero ha scelto di tenerli per la coerenza e la chiarezza all’interno della scala valutativa. Un altro punto su cui il ministero ha espresso un netto dissenso riguarda la richiesta del Cspi di predisporre delle Linee guida specifiche per accompagnare le scuole in questa fase di transizione. Anche qui, la risposta è stata un categorico “no”. Come spiegato dall’ordinanza, il ministero considera il passaggio a questa nuova modalità valutativa così semplice e intuitivo da non richiedere altra documentazione esplicativa.

Cambia solo nelle pagelle, durante l’anno scelgono i docenti

Le nuove regole sulla valutazione scolastica entreranno ufficialmente in vigore alla fine dell’anno scolastico, dando alle scuole il tempo necessario per adeguare i propri criteri di valutazione, aggiornare i registri elettronici e uniformare i documenti. Tuttavia, l’ordinanza del Ministero dell’Istruzione introduce una distinzione significativa: i giudizi sintetici saranno obbligatori esclusivamente nelle pagelle di metà quadrimestre e in quelle finali. Per quanto riguarda le valutazioni durante l’anno, invece, la libertà (e responsabilità) di scegliere la forma di valutazione migliore resterà nelle mani dei docenti.

Il parere del pedagogista Cristiano Corsini

«L’unica nota positiva di questa riforma è la decisione di lasciare ai docenti la libertà di scegliere come formulare i giudizi in itinere (i voti dati nei compiti durante l’anno, ndr). Per il resto, non ci sono vantaggi, anzi», commenta a Open Cristiano Corsini, pedagogista e docente all’Università di Roma Tre, nonché autore del libro La valutazione che educa (Franco Angeli, 2023). La modifica introdotta dal ministero non smette di far discutere e alimenta un acceso dibattito nel mondo pedagogico. Già lo scorso anno, associazioni educative e sindacati scolastici – tra cui l’Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici, il Coordinamento Genitori Democratici, l’Associazione Italiana Maestri Cattolici e la Flc Cgil – avevano lanciato l’allarme, diffondendo un documento in cui si esprimeva preoccupazione per una scelta ritenuta «immotivata dal punto di vista pedagogico».

«Questa non è chiarezza, ma banalità»

Secondo il ministero, il ritorno ai giudizi sintetici punta a garantire una comunicazione più chiara e immediata per studenti e famiglie. Motivazione che Corsini respinge con fermezza: «Non si tratta di una comunicazione più chiara, ma più banale. E banalità ed educazione non possono andare di pari passo. Insegnare ed educare sono processi complessi, e banalizzare la valutazione non è mai una decisione intelligente». L’esperto sottolinea come questo ritorno ai giudizi sintetici non sia una questione puramente linguistica, ma di visione educativa alla base, dove si rischia di trasformare la valutazione in uno strumento che mette gli studenti in una graduatoria, una sorta di «classifica» che risponde a logiche «poco difendibili» sul piano educativo: «Con i giudizi descrittivi si potevano individuare i punti di forza e di debolezza del percorso di apprendimento, legandoli a obiettivi specifici per ogni materia. Ora, invece, il voto sintetico assume un valore moralistico che classifica il bambino, ignorando le sfumature del suo percorso formativo».

«Scelta priva di fondamento scientifico e pedagogico»

Corsini non usa mezzi termini per descrivere questa scelta: «È meschina, indifendibile dal punto di vista pedagogico e priva di fondamento scientifico. Decenni di ricerche empiriche dimostrano che un sistema valutativo di questo tipo ha effetti deleteri sull’apprendimento e sullo sviluppo degli studenti». Secondo il pedagogista, questa decisione rappresenta «un passo indietro» significativo, una regressione che rischia di «alimentare una visione competitiva dell’educazione», anziché favorire la crescita e il miglioramento degli alunni.

Cos’è cambiato negli anni: l’excursus storico e il tira e molla dei governi

Se, secondo l’esperto, siamo tornati indietro dal punto di vista pedagogico, in realtà questo «passo indietro» è anche un ritorno temporale. La storia della valutazione scolastica in Italia è infatti una lunga e altalenante serie di cambiamenti che, a dire il vero, non ha brillato per originalità o fantasia. Le prime riflessioni significative nel campo della valutazione degli studenti a scuola iniziano a emergere negli anni ’50, ma è negli anni successivi che le trasformazioni cominciano a modellare il sistema di valutazione che conosciamo oggi. Nel 1977, la legge 517 introdusse una serie di novità fondamentali, tra cui l’abolizione dei voti numerici e l’introduzione dei giudizi analitici, ovvero descrittivi, durante l’anno scolastico. A fine anno, invece, l’unico giudizio previsto era quello di ammissione o non ammissione alla classe successiva. Fu una rivoluzione, una visione della valutazione che puntava a dare maggiore attenzione al percorso formativo individuale.

I voti sotto forma di lettere: A, B, C, D, E

Nel 1993, il sistema di valutazione fu rinnovato con l’introduzione della scala di livelli A, B, C, D, E, utilizzata per esprimere il grado di raggiungimento degli obiettivi cognitivi, con il livello A che rappresentava il pieno raggiungimento e l’E il mancato raggiungimento. L’idea era quella di rendere la valutazione più standardizzata e comprensibile, ma già nel 1996, sotto l’allora ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer, la situazione cambiò ancora. Fu il momento dei giudizi sintetici: Ottimo, Distinto, Buono, Sufficiente, Non sufficiente, mentre le lettere dell’alfabeto furono accantonate. Una scelta che sembrava stabilire un equilibrio tra chiarezza e descrizione, ma che, come tutte le scelte nel sistema scolastico, ebbe una data di scadenza.

I voti numerici, poi descrittivi e ora (di nuovo) sintetici

Nel 2008, sotto la guida della ministra Mariastella Gelmini, l’Italia ha assistito a un altro capovolgimento: sono stati reintrodotti i voti numerici da 1 a 10, un ritorno a una forma di valutazione più tradizionale, più semplice da comprendere ma anche, secondo alcuni, meno capace di rappresentare la complessità del percorso educativo. Poi, nel 2020, con la ministra Lucia Azzolina, la valutazione è tornata a basarsi sui giudizi descrittivi, considerati più precisi e in grado di fornire un quadro completo delle competenze e abilità degli studenti. La motivazione di questa scelta era quella di fare un passo pedagogico in avanti, verso una valutazione che non fosse limitata a un semplice numero, ma che potesse davvero riflettere la crescita dell’alunno. E ora, con il ministro Valditara, si ritorna agli anni ‘90: abbandonati i giudizi descrittivi, tornano in auge i giudizi sintetici.

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