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I «poliziotti bastardi» di Acab sbarcano su Netflix. Marco Giallini: «Qualcuno strumentalizzerà inutilmente la serie» – Le interviste

15 Gennaio 2025 - 11:29 Gabriele Fazio
La serie, ispirata all'omonimo romanzo di Carlo Bonini, vede tra i protagonisti Marco Giallini, Adriano Giannini, Valentina Bellè e Pierluigi Gigante

Un passo dentro il mondo delle forze dell’ordine, come erano una volta, come sono oggi, in che modo affrontano un lavoro duro e una dura responsabilità. Netflix da oggi distribuirà ACAB, serie tv ispirata all’omonimo romanzo di Carlo Bonini. Molti avranno ancora nella mente il ricordo della visione di un film, sempre tratto dall’opera di Bonini, diretto da Stefano Sollima, che oggi per questo nuovo prodotto ricopre il ruolo di produttore esecutivo. La regia del nuovo contenuto Netflix è stata invece affidata a Michele Alhaique (Non uccidere, Romulus) che ha diretto per l’occasione un cast formato da Marco Giallini, Adriano Giannini, Valentina Bellè e Pierluigi Gigante. Anche la serie indaga la vita privata di chi indossa una divisa, «L’essere umano dietro al casco blu» come ha specificato a Open Giannini, il rapporto che si crea in una squadra del Reparto Mobile di Roma, capitanata da Ivano Valenti, detto Mazinga, poliziotto all’antica, uomo ruvido affezionato a vecchi metodi, anch’essi assai ruvidi, se non violenti. L’esatto opposto di Michele Nobili, Adriano Giannini, che ha convinzioni decisamente più moderne ma che non potrà fare a meno di confrontarsi con la brutalità dentro, fuori, attorno alla divisa che indossa. Un tema assai scottante sotto diversi punti di vista, il primo naturalmente riguarda la figura delle forze dell’ordine, contro la quale in molti, dopo la morte di Ramy Elgaml, si sono scagliati, chiedendosi fino a che punto proprio l’utilizzo della violenza sia lecito e accettabile.

Un tema che nella serie viene approfondito (benissimo) dal personaggio interpretato da Adriano Giannini, che sempre a Open spiega: «Il mio personaggio porta una visione progressista, democratica dell’esercizio dell’ordine pubblico, che certamente rimanda il più possibile l’uso della violenza, cerca di trovare altre strade rispetto una violenza cieca, preventiva». Argomento reso ancora più attuale dalla notizia che il governo Meloni è al lavoro su uno scudo penale per la polizia per evitare l’indagine automatica nei confronti degli agenti. Eppure le polemiche legate alla politica non interessano a Marco Giallini, che confessa a Open: «Ci sarà qualcuno che strumentalizzerà, inutilmente, perché è un film. C’è questo sport in Italia per cui devi sempre mettere l’attore nelle vesti del personaggio che interpreta e magari parlarne come se lui fosse parte integrante di quella storia lì. Non mi piace». «La serie racconta la realtà – dice il regista Michele Alhaique – ma non è ispirata a fatti realmente accaduti, non c’è margine per cui qualcuno possa dire “non sono andate veramente così le cose”. Raccontiamo dei personaggi con i loro conflitti, le loro contraddizioni».

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