«Non sprecare le briciole, mangia anche la pelle del salame»: la storia della donna maltrattata dal marito per 15 anni
La sua è una storia di maltrattamenti durata 15 anni. Non solo violenza fisica. Il suo ex è stato condannato a tre anni di carcere per stalking, maltrattamenti, danneggiamento e accesso abusivo alla sua mail. Lei ha aperto una pagina Instagram (la_magliettagialla) per raccontare la sua vicenda. Fatta di regole di casa imposte dal marito come: «Non sprecare le briciole quando si spezza il pane, mangia anche la parte del salame che resta attaccata alla pelle, e guai all’estrattore, immorale, perché spreca tutta la buccia». E oggi racconta al Corriere della Sera la sua storia.
Le briciole e il tango
Tra le regole c’era il «divieto di mangiare carne di cavallo al sangue, perché sennò ero un animale; divieto di bere il vin brulé o di mangiare lo zabaione d’inverno, perché era un atteggiamento da vecchi». E poi: «Anche la domenica dovevamo svegliarci presto e cambiarci, non potevamo stare in pigiama, perché era segno di pigrizia. E poi, era tutta una correzione». Anche grammaticali: «Magari dicevo: “Mia sorella ha fatto questo, gli ho detto…”; “Ah, ‘Gli ho detto’, perché tua sorella è diventata maschio?”. Non gli andava bene mai nulla di ciò che dicevo». Alla fine ha reagito «Con il silenzio: per andare avanti ed evitare discussioni, anche un po’ brutte».
Violenza economica
Nel racconto ci sono i classici episodi di violenza economica: «Il budget di casa era deciso da lui, non si poteva sgarrare, neppure davanti a un tavolino dell’Ikea. Sforavamo quel maledetto budget». Il processo invece è stato «una sofferenza. Il mese prima della sentenza, mi dicevo: chissà cosa dirà il giudice e come la prenderò io». E ha collezionato prove: «Avevo foto, mail, video, ma c’era anche uno spazio vuoto, in cui si poteva non darmi ragione: era una parte che mi faceva soffrire». La pagina Instagram l’ha aperta «per aiutare le donne: non basta essere una vittima, bisogna avere tanta energia, riuscire a farsi capire, e non è facile, perché la sofferenza è qualcosa di personale. Bisogna insistere, a volte».