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Piantedosi difende polizia e carabinieri: «A Brescia perquisizioni regolari. Ramy? Doveva fermarsi all’alt»

16 Gennaio 2025 - 20:18 Ugo Milano
Il ministro dell'Interno su Rete 4 per allontanare le accuse agli agenti. E sull'ipotesi di scudo penale chiarisce: «Nessuna impunità»

Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi interviene questa sera a Dritto e rovescio, su Rete 4, su due dei casi di maggiore rilevanza che hanno riguardato le forze dell’ordine nelle ultime settimane. Il primo è quello che riguarda Ramy Elgaml, il 19enne morto durante un inseguimento dei Carabinieri per le strade di Milano lo scorso 24 novembre. Piantedosi chiarisce che la vicenda è al vaglio della magistratura, ma non rinuncia a dire la sua: «Giudicherà l’autorità giudiziaria. I Carabinieri hanno consegnato tutti i video, altri valuteranno quello che è successo». Ciò detto, aggiunge su Rete 4, «ho difficoltà a concepire un inseguimento, modalità operativa che è consentita ed in certi casi prescritta alle forze dell’ordine, senza inseguimento. Il primo fattore che può evitare la condizione di pericolo per sé stessi e per gli operatori è fermarsi all’alt». Per la morte del 19enne di Corvetto è indagato con l’accusa di omicidio stradale il carabiniere che guidava la macchina che ha speronato il suo motorino, come mostrato da un video poi diffuso dal Tg3.

La perquisizione di Brescia? «Regolare»

Il secondo caso, certamente di minor grave entità ma che ha fatto discutere negli ultimi giorni, riguarda le accuse di abusi mosse da alcune attiviste del movimento Extinction Rebellion, fermate lunedì mattina a Brescia dopo un blitz alla sede di Leonardo. Le ambientaliste avevano denunciato di essere state costrette a compiere atti «umilianti» durante una perquisizione in questura, tra cui togliersi gli slip e fare degli squat. Piantedosi ora respinge con fermezza le accuse, rispondendo che le perquisizioni sono state condotte «in piena regolarità». Il ministro chiarisce di aver chiesto e ricevuto una relazione dettagliata sui fatti. «Al di là di come è stata rappresentata e dell’impressione che può fare, si tratta di una pratica operativa che in determinate circostanze è consentita e anche prescritta. Non è altro che una variante delle pratiche di perquisizione, che peraltro vengono effettuate da personale femminile sulle donne», dichiara il ministro.

Lo scudo penale

In merito alla possibilità di uno scudo penale per gli agenti – ipotesi allo studio della maggioranza insieme ad altre dopo gli ennesimi disordini in piazza legati proprio alla morte di Ramy – Piantedosi ha chiarito poi che «non si tratta di impunità», ma di un intervento normativo che mira a garantire alle forze dell’ordine una maggiore tutela legale. «Nessuno pensa ad un’impunità e questa idea è stata respinta anche dai sindacati delle forze di polizia in maniera unanime», ha dichiarato. «Ci sono normative passate che hanno previsto la possibilità di offrire garanzie di partecipazione a un processo senza passare necessariamente dalla condizione di indagato, che non significa impunità, ma evitare che gli agenti vengano sottoposti a una condizione molto delicata e spiacevole». Piantedosi ha poi ricordato che nel decreto sicurezza, attualmente in discussione in Parlamento, sono previsti anche fondi per le spese legali delle forze di polizia: «Mettiamo a disposizione 10mila euro per ogni fase del processo proprio per evitare che ci sia il peso di doversi trovare l’avvocato per persone che non guadagnano stipendi faraonici».

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