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Cos’è il Taharrush gamea degli stupri di Capodanno in piazza Duomo a Milano

16 Gennaio 2025 - 08:01 Alessandro D’Amato
stupri capodanno milano laura barbier taharrush gamea
stupri capodanno milano laura barbier taharrush gamea
Wael Faruq, direttore dell’istituto di cultura araba della Cattolica: «È nato in un contesto di violenza, di oppressione, di perdita della speranza, di disoccupazione, di guerra»

Quello che è accaduto in piazza Duomo a Capodanno è un caso di taharrush gamea. E non è la prima volta che succede a Milano. A dirlo oggi in un’intervista all’edizione milanese di Repubblica è Wael Faruq, direttore dell’istituto di cultura araba della Cattolica. L’aggressione collettiva che umilia le donne è un caso che deve allarmare, ma secondo il professore «se si cerca di giustificare quello che succede attraverso la condanna di una cultura o di una religione si scappa dal problema, perché non è questo il punto».

Le origini in Egitto

Secondo Faruq «bisogna partire dalla storia di queste molestie collettive negli spazi pubblici, fra persone che non si conoscono e in modo non organizzato, che hanno origini in Egitto. Un fenomeno nato alla fine degli anni Novanta, con il primo incidente al Cairo nel 1998 e una ragazza aggredita nel bel mezzo della piazza da un gruppo di ragazzi che la toccava». Il professore spiega che «il taharrush gamea, in seguito usato come tecnica di repressione dalla polizia contro le attiviste che manifestavano contro il governo, è nato in un contesto di violenza, di oppressione, di perdita della speranza, di disoccupazione, di guerra». I protagonisti delle violenze sono nati proprio in quegli anni: «Giovani stranieri o italiani di seconda generazione che sono cresciuti in questo contesto, che l’hanno vissuto in prima persona, lì oppure attraverso le immagini o racconti a distanza».

Cultura o religione

E non è una questione di cultura o religione: «Per la cultura araba e la religione islamica quelle violenze di gruppo sono un crimine gravissimo. Il problema sta nel contesto degli ultimi trent’anni, diventato parte della loro storia, che si intreccia ad altri due aspetti che spiegano cos’è accaduto e che si ripete in piazza Duomo». Invece «il problema globale delle molestie sulle donne, scoperchiato con il MeToo e che riguarda in maniera drammatica anche tutto l’occidente. E insieme a questo, uno stereotipo femminile che si diffonde fra sui social e i profili di Tik Tok, una donna che si vende, che cerca soldi, una donna non reale».

E ancora: «È contro uno stereotipo che vengono fatte quelle violenze di gruppo. Uno studio ha dimostrato come l’87 per cento delle vittime del taharrush gamea sono velate. Significa che non è contro persone per ragioni specifiche ma contro quello stereotipo che le deumanizza. Il punto dove voglio arrivare è che è troppo banale dare la colpa all’islam, parlare di ragazzi che provengono da una cultura distante da noi che non rispetta le donne. Ed è molto pericoloso slegare quello che è successo in Duomo da un contesto generale di una cultura della violenza che nasce da un vuoto e dal perdere la fede e significato in tutto».

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