Benvenuti nella Lampedusa di New York, ecco i barconi volanti che dall’Africa puntano sull’America di Trump
«Il momento più pericoloso della mia traversata verso l’America? Il viaggio in bus dal Nicaragua al Messico. A un certo punto sono saliti dei trafficanti e hanno preso il controllo del mezzo: ci hanno rubato tutto ma fortunatamente avevo ancora 600 pesos nelle mutande e sono riuscito a salvarli». Mohammed ha 27 anni, denti bianchissimi e una maglia di calcio del Manchester United. È arrivato negli Stati Uniti dal Senegal da due mesi quando ci incontriamo davanti al grande rifugio per migranti di Hall Street a Clinton Hill, quartiere per giovani famiglie di Brooklyn – architettura gotica, sculture, negozietti vintage – dove dall’estate del 2023 sono sorti due centri di accoglienza a pochi metri l’uno dall’altro.
Mohammed è partito in aereo da Dakar con un trolley e grandi speranze. È arrivato in Marocco, da lì si è imbarcato per Madrid ed è volato prima a Bogotà, in Colombia, e infine in Nicaragua, dove è iniziato il suo viaggio in autobus di una settimana fino al confine con il Messico. «Ho aspettato 24 ore per fare tutti i controlli – ci racconta in un francese zoppicante -, e poi mi hanno spedito in Arizona dove ho dovuto aspettare un’altra settimana prima di raggiungere New York, la mia destinazione finale perché qui si terrà l’udienza al tribunale dell’ immigrazione che valuterà la mia richiesta di asilo», racconta.
La sua storia è una delle tante – tutte molto simili – che si ascoltano per le vie di Clinton Hill, dove centinaia di giovani provenienti dal Nord Africa e dall’Africa Occidentale passano le giornate sostando davanti ai rifugi o nei piccoli parchi giochi della zona. In due anni i centri di accoglienza sono arrivati a ospitare complessivamente quasi 4mila migranti. Non hanno il permesso di lavorare, e trascorrono le giornate in attesa di un’udienza che deciderà il loro futuro negli Stati Uniti. Pochi creano disordini nel quartiere, altri attendono fiduciosi i volontari che si occupano di loro. La maggior parte bivacca in uno scenario che un poliziotto svogliato con i nonni siciliani definisce a Open: «la Lampedusa di New York».
I nuovi migranti africani
Con 200 mila arrivi negli ultimi due anni, New York è diventata la città che ospita il maggior numero di richiedenti asilo provenienti dal confine con il Messico. Il 18% di essi sono giovani maschi africani, protagonisti – loro malgrado – di un nuovo capitolo dei flussi migratori del XXI secolo.
Nel 2023 circa 60 mila sono entrati dal Messico negli Stati Uniti, rispetto ai 10 mila dell’anno precedente. Nello stesso anno, secondo statistiche del governo Usa elaborate dal New York Times, il numero di africani detenuti al confine è cresciuto del 300% in un anno. L’impennata di richieste di asilo al confine interessa soprattutto il Senegal, la Mauritania e la Guinea. Solo per i migranti senegalesi le domande sono passate da 773 del 2022 a superare le 13 mila nel 2024.
Come ricorda la giornalista esperta di immigrazione Miriam Jordan, fino a pochi anni fa il numero di migranti provenienti dall’Africa negli Stati Uniti era talmente basso che finivano in una generica categoria altro. «Invece di cercare una nuova vita in Europa – scrive Jordan – dove si sono stabiliti così tanti migranti africani, si sono diretti verso quella che ultimamente è diventata una scommessa molto più sicura: gli Stati Uniti».
Lo conferma Tiel B, originario della Guinea Bissau, quando dice a Open di non aver mai preso in considerazione il Mediterraneo per un motivo molto semplice: «Non voglio morire in mare». Parla diverse lingue e sul suo profilo Instagram alterna foto di Manhattan con i cuoricini a video di predicatori islamici. A Bissau era in pericolo di vita sotto il governo di Umaro Sissoco Embalóa e spera che per questo gli verrà riconosciuto lo status di rifugiato politico: «Ho lasciato la mia nazione per non morire. La mia famiglia ha venduto tutto per farmi partire».
La rotta di lusso: il viaggio infinito dall’Africa agli Stati Uniti
Il lungo viaggio che dall’Africa li conduce negli Stati Uniti viene definito da alcuni impropriamente luxury route, rotta di lusso, perché, al posto dei barconi, i migranti coinvolti arrivano in aereo in Centro America evitando così il mare e il Darien Gap, la pericolosissima giungla al confine tra Colombia e Panama, per raggiungere poi il confine con gli Stati Uniti in bus. I viaggi – organizzati da reti di trafficanti che dall’Africa si estendono all’America centrale – costano dai 9 ai 15 mila euro, cifre astronomiche per famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà e sono costrette ad azioni estreme per consentire il viaggio a un familiare.
Nel transito sono coinvolti voli di compagnie di linea – come la Turkish Airlines con il volo giornaliero Istanbul-Bogotá – e charter dalle proprietà opache finite sotto la lente delle autorità per traffico illegale e tratta di esseri umani. Tra queste c’è la Legend Airlines, con sede in Romania, sotto inchiesta per voli sospetti verso il Nicaragua. L’Europa – da destinazione finale – è diventato un centro di smistamento, dove aeroporti come quello di Madrid e quello di Istanbul sono in cima alla lista degli hub di scambio tra l’Africa e l’America Centrale.
New York e le città santuario degli Usa
Questa settimana il sindaco Eric Adams ha annunciato trionfante la chiusura del rifugio Hall Street e il trasferimento dei migranti in una nuova costruzione nella zona Sud del Bronx, 40 km lontani dalle ricche casette di Brooklyn. «Solo un modo per portare il degrado della cattiva gestione in un distretto che è già la discarica di New York», racconta Andreia Matay di One love Community Fridge, associazione che riunisce volontari che assistono i migranti. Ha cominciato a occuparsi di loro un anno e mezzo fa quando – ci racconta – la situazione a Hall Street ha iniziato ad allarmare i residenti. «Ogni storia individuale – ci dice – è un racconto straziante che mette in luce l’incredibile forza di una persona, un esempio di resilienza e determinazione nella loro ricerca di una vita migliore». Ogni settimana Andreia porta vestiti e cibo ai migranti: «Organizziamo anche corsi di lingua e partite di calcio, passeggiate nel parco», afferma mentre con sua figlia e Mohammed dispone i vestiti da regalare su un banchetto della strada. «Proviamo a supportare la loro salute mentale e alleviare il senso di isolamento in un Paese straniero con cui non hanno familiarità».
New York fa parte delle cosiddette “città santuario” degli Stati Uniti, bersaglio dei repubblicani e di Trump perché mete protette per gli immigrati sprovvisti di documenti legali. Dagli anni Ottanta è in vigore una legge speciale che obbliga a fornire un letto a chiunque ne abbia bisogno. A causa dell’impennata di arrivi durante l’amministrazione Biden, il sindaco Adams ha deciso di mettere mano alla legge e ora ai migranti single adulti è consentito di rimanere nei rifugi solo per 30 giorni. Il risultato è che molti di essi diventano homeless e si accampano con tende e coperte di fortuna per la città. Negli ultimi anni centinaia di edifici – chiese, palestre, scuole, hotel – sono stati utilizzati per fare fronte alla crescente popolazione migrante. L’amministrazione cittadino ha speso finora 6 miliardi di dollari per prendersi cura di loro, una cifra che potrebbe arrivare – al netto del piano di deportazione di massa annunciato dal futuro presidente Trump – a 10 miliardi entro giugno del 2025.
La propaganda via social
Un elemento ricorrente dei racconti degli immigrati africani di Brooklyn riguarda i profili e i gruppi social che distribuiscono consigli e trucchi per emigrare in America. In Guinea, ad esempio, è molto popolare tra i giovani un gruppo Whatsapp chiamato “Let’s Leave the Country”. Mentre su TikTok si moltiplicano predicatori e influencer che offrono “consigli legali” per attraversare il confine; annunci di chi offre passaggi in auto sicuri o promette visti temporanei per 50 dollari da ricevere comodamente via mail.
La propaganda via social è talmente invasiva che il Dipartimento di Sicurezza nazionale ha lanciato una campagna “geo targeted” sulle piattaforme digitali in Centro e Sud America per raggiungere le reti dei cellulari dei migranti e lanciare avvisi sulle regole e le policy per la migrazione negli Stati Uniti, segnalando i pericoli e i rischi di chi si avventura nell’impresa.
Il ruolo dei governi dell’America Centrale
El Salvador è uno dei principali Paesi di transito della nuova rotta migratoria. Per provare a scoraggiare gli arrivi il governo ha introdotto a ottobre 2023 la necessità di una visa e un pedaggio di 1000 euro per il transito, decisione che – stando a quanto dichiarato dal vice presidente Ulloa – avrebbe ridotto drasticamente il passaggio attraverso il Paese.
Altro Paese di transito è l’Honduras, dove solo nei primi sei mesi del 2023 si è registrato il 553% di aumento di migranti africani. Ma il Paese che preoccupa maggiormente gli Stati Uniti è il Nicaragua: il presidente Ortega, grande nemico degli Usa, sta utilizzando i migranti come arma contro Washington. Secondo esperti citati dal quotidiano spagnolo El Pais, Il fronte di liberazione sandinista ha trovato «un business lucrativo nel trasporto dei migranti». Nonostante le sanzioni imposte dall’amministrazione Biden, il governo continua a fare affari con gli esseri umani in fuga: 1.150 charter e voli pseudo commerciali sono atterrati a Managua tra maggio 2023 e maggio 2024 per una media di 200 passeggeri a volo che hanno pagato circa 150 dollari agli agenti. Un business totale di circa 50 milioni in un anno. A settembre gli Stati Uniti hanno imposto delle restrizioni di visto ai responsabili di una compagnia europea di aerei charter “per facilitare l’immigrazione irregolare” attraverso il Nicaragua.
«C’è una grande nuova industria devota al traffico di esseri umani – dice a Open l’avvocata Margaret Stock, esperta di migrazioni e autrice di popolari testi sul tema -, un sacco di persone che fanno soldi organizzando i loro viaggi e che non credono neanche di fare una cosa cattiva ma di offrire un servizio. I governi al momento sono incapaci di gestire questo traffico perché richiederebbe un enorme sforzo di coordinamento internazionale per impedire alle persone di prendere aerei. Gli Stati Uniti non possono bloccare gli arrivi, possono solo gestirli».
La complicata gestione dei migranti africani: dalla app ai tribunali
Sebbene i numeri siano ancora piccoli se paragonati a quelli dei vicini di casa dell’America Centrale e Meridionale, i migranti provenienti dall’Africa sono più difficili da gestire: «Innanzitutto è molto complicato e costoso rimpatriare persone in Paesi così lontani dove spesso non c’è alcun accordo bilaterale con gli Stati Uniti», spiega Stock. Inoltre i centri di detenzione al confine con il Messico strabordano rendendo impossibile per gli agenti trattenerli.
Per ridurre il numero di attraversamenti illegali e facilitare il lavoro al confine, l’amministrazione Biden ha introdotto la possibilità di prendere appuntamento con una app – la CBP One – per fare richiesta di asilo e ottenere un permesso di ingresso temporaneo. In questo modo le autorità al confine sono riuscite a smaltire fino a 1.450 appuntamenti al giorno. Un metodo molto utilizzato soprattutto da venezuelani, haitiani e colombiani ma che resta sconosciuto per la maggior parte dei giovani che arrivano dall’Africa.
In assenza di una domanda (verificata) di asilo, i migranti vengono così trasportati in centri di permanenza temporanea dove iniziano il loro percorso verso l’espulsione dal Paese: un iter lunghissimo visti i tempi della giustizia americana sull’immigrazione. Una volta ricevuti data e luogo del processo, vengono trasferiti nei rifugi della città dove si terrà l’udienza presso un tribunale per l’immigrazione, «istituti sotto finanziati – scrive il Brooking Institute – e con arretrati che sfiorano i 3 milioni di casi dove migranti che non parlano una parola di inglese vengono lasciati molto spesso da soli a gestire il processo, dato che in quei casi non esiste neanche il diritto di difesa». Con i lunghissimi tempi di attesa e senza un lavoro, molti di loro – spiega l’avvocata Stock – «finiscono con il cadere nella trappola dell’economia sommersa se non in quella della criminalità». Uno scenario evocato più volte da Trump, pronto a dichiarare guerra dal giorno uno della sua presidenza ai migranti «che stanno avvelenando il sangue della nostra nazione». «Ma Trump non è l’America», sorride Thiel B, che vuole difendere il Paese che ha scelto per crearsi una seconda vita, e un sogno più grande di tutte le sue paure.