La confessione di Fabio Caressa: «Iniziai a scrivere lettere finte su “Cioè”. Mia moglie Benedetta Parodi guadagna più di me, ma non ci vedo nulla di male»
La prima telecronaca sportiva è stata per telepiù a Milano. Lo ricorda bene Fabio Caressa, che racconta i suoi esordi in un’intervista al Corriere della Sera. E un retroscena, finora mai uscito. «Avevo 16 anni – racconta all’inviata Anna Gandolfi – Studiavo al liceo classico e dicevo agli amici: vorrei scrivere. Qualcuno era nell’editoria, mi hanno indirizzato: cercavano giovani leve. Il mio compito erano le lettere. “Sono tal dei tali (erano quasi sempre firme femminili), ho incontrato il vip tal dei tali”. Tutto rigorosamente inventato». La bugia più grossa? «Quella della ragazza che incontra Bono Vox a Trinità dei Monti, “un po’ mascherato per non farsi riconoscere”. Come no!? Se Bono in quel periodo si fosse presentato a Trinità dei Monti sarebbe stato il delirio. A modo mio inventavo storie. Comunque ho fatto anche interviste vere: la prima ad Alberto Fortis», spiega Caressa, romano, uno dei telecronisti più amati. «Nel 1991 portato da Rino Tommasi. La mia prima telecronaca è stata il Trofeo Luigi Berlusconi. Lavoravamo e la sera andavamo a ballare», racconta. Da lì a poco andò a vivere in pianta stabile a Milano, nel 1994. Ed è lì che conosce Benedetta Parodi, sua moglie. Lei, volto televisivo, a volte guadagna più di lui. E la vive benissimo. «In famiglia entrambi partecipiamo alle spese e se è un periodo in cui guadagno di più io, mi faccio carico di più spese io, se invece guadagna di più Benedetta, se ne fa carico di più lei. È sacrosanto però c’è chi ancora si stupisce».
Fabio Caressa e Milano
Milano è una città che l’ha fatto innamorare subito. Ma ha anche dei difetti. «L’area B mi sembra classista e sa un po’ di ponte levatoio che viene alzato dal castello: per lo smog sarebbero state meglio altre soluzioni. Inoltre oggi Milano non è una città che si possa definire sicura: dopo le 20 non puoi prendere la metropolitana. Vuoi il taxi? Non lo trovi. Ciò non va bene e lo dico da padre di tre figli di 22, 20 e 15 anni (Matilde, Eleonora e Diego, ndr) che vogliono uscire la sera ma poi sono in difficoltà». E proprio dalle figlie, spiega, ha imparato a essere «politicamente corretto». «Per la mia generazione certi atteggiamenti sono normali, certe battute sono simpatiche, fanno ridere, sono complimenti mentre per le mie figlie sono fastidiose. Da loro ho imparato, in questo ambito, che qualcosa che sembra innocuo per altri non lo è». Come i fischi per strada. «Non ho mai assistito a fischi verso le mie figlie, perché se accadesse non finirebbe bene. Lo so: ho detto una cosa “patriarcale”, Matilde ed Eleonora mi riprenderebbero. Ma ci sta».