Vino senza alcol, c’è chi dice no: «È una bevanda identitaria e va rispettata»
Dal 20 dicembre scorso il vino senza alcol è una realtà industriale. Il governo ha emesso il decreto che dà il via libera alla dealcolazione a 12 anni di distanza dal regolamento dell’Unione Europea 1308/2013. Per sottrarre alcol al vino e ottenere un prodotto che che va da 0 a 0, 5% (dealcolati) e da 0, 5% a 8, 5% (parzialmente dealcolati). Sono esclusi dal procedimento i vini Igt, Doc e Docg. E così, mentre i consumi scendono (nel 2024 rispetto al 2019 le vendite di vino fermo sono calate del 12%) e il codice della strada sanziona con pene più severe chi guida in stato di ebbrezza, la dealcolazione comincia a conquistare spazio.
La dealcolazione
«In Italia c’è un’intera vendemmia di vino invenduto che giace nelle cantine, circa 40 milioni di ettolitri. Ci sono aziende che vendono lo sfuso a meno 1 euro al litro. La dealcolazione è una possibilità per ridurre le giacenze. E chi pensa che si stia parlando di un prodotto a buon mercato, si sbaglia: il prezzo dei dealcolati è più alto perché vanno messi in conto i costi dell’investimento e della lavorazione», spiega a La Stampa Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini. Questo perché «il 70% delle persone nel mondo non beve alcol. E molti, che lo amano, devono rinunciarci per motivi di salute. Il dealcolato può essere un’alternativa». Le bevande a base d’uva in cui la fermentazione alcolica del mosto viene bloccata sul nascere sono già in vendita nella grande distribuzione. Da Esselunga e alla Coop.
Il gusto
Il problema è il sapore. La dealcolazione riduce gli aromi. Ma la tecnologia può supplire: «I dealcolati non si prestano a lunghe conservazioni in cantina per l’assenza dell’alcol», dice Martin Foradori Hofstätter, viticoltore altoatesino, che produce in Germania dal 2020 soprattutto Riesling. «Noi consigliamo di consumare i nostri prodotti entro due anni dalla produzione. Resta il fatto che solo da una materia prima di qualità si riesce a produrre un dealcolato di alto livello. E noi puntiamo al top».
Ma Roberta Ceretto, produttrice dell’omonima cantina ad Alba, dice di no. «Storicamente il vino contiene alcol. Siamo nati producendo e portando avanti una tradizione millenaria. Nessuno dei produttori, secondo me, è “contro” a prescindere, a maggior ragione in questa fase in cui, con il nuovo codice della strada, sono state attivate sanzioni pesantissime per chi beve più del consentito. Ma dà fastidio l’associazione della parola “vino” con “dealcolato”. È sbagliato: il vino ha un processo di produzione che lo porta ad avere l’alcol».
L’alcol e i giovani
Nelle Langhe si contesta anche la disaffezione dei giovani rispetto al vino: «Vedo che l’età media di chi viene a visitare le nostre cantine si è abbassata molto rispetto alla mia generazione. Nell’analisi dei consumi va tenuto conto che negli ultimi due anni, dopo il biennio critico del Covid, c’è stata un’euforia e i numeri mostrano che oggi c’è più morigeratezza nel bere. C’è anche da dire che ora i portafogli sono meno pieni e il costo della vita è aumentato. Ma il vino è una bevanda identitaria e va rispettata».