Israele lancia l’operazione «Muro di Ferro» a Jenin: 6 morti. Netanyahu: «Piegheremo l’Iran». Hamas chiama alla rivolta la Cisgiordania – I video
A 48 ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza, le forze israeliane hanno lanciato un’imponente «operazione anti-terrorismo» a Jenin, città della Cisgiordania da cui sono partiti negli anni molti attacchi verso Israele, spesso sobillati da Hamas, e in cui l’Idf conduce regolari raid, anche preventivi. Questa volta l’operazione s’annuncia molto rilevante, sia sul piano militare che su quello politico. Tanto da essere annunciata dallo stesso premier Benjamin Netanyahu con tanto di brand pubblico: si chiamerà “Muro di Ferro“. «Su indicazione del gabinetto politico-sicurezza, l’Idf, lo Shin Bet e la Polizia di Israele hanno avviato oggi un’operazione militare – denominata Muro di Ferro – vasta e significativa per combattere il terrorismo a Jenin», ha dichiarato Netanyahu, aggiungendo come si tratti di «un ulteriore passo verso il raggiungimento dell’obiettivo che ci siamo prefissati: rafforzare la sicurezza in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndr). Agiamo in modo sistematico e deciso contro l’asse iraniano ovunque esso estenda le sue mani – a Gaza, in Libano, in Siria, in Yemen, in Giudea e Samaria – finché la sua mano non sarà piegata». Secondo fonti palestinesi le forze israeliane hanno condotto attacchi aerei con droni su Jenin, mentre le truppe Idf si preparano ad entrarvi. Un primo bilancio reso dal ministero della Sanità dell’Anp parla di 6 morti e 35 feriti.
L’appello alla rivolta di Hamas, le dimissioni di Halevi
L’operazione mira a «distruggere e neutralizzare le infrastrutture terroristiche» presenti nell’area e proseguirà «sino a quando necessario», hanno fatto sapere l’esercito e lo Shin Bet. Non è tardata ad arrivare la replica di Hamas, che ora esorta i palestinesi a intensificare i combattimenti contro Israele anche in Cisgiordania. Già ieri sera l’organizzazione fondamentalista aveva lanciato un appello «all’escalation in Cisgiordania in tutte le sue forme per far fronte al terrorismo dei coloni e di Israele». Intanto arriva però la notizia che il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Herzi Halevi lascerà l’incarico il prossimo 6 marzo, «in virtù del riconoscimento della mia responsabilità per il fallimento
dell’Idf il 7 ottobre e nel momento in cui l’esercito ha registrato risultati significativi ed eccezionali durante l’attuazione dell’accordo per il rilascio dei rapiti».
L’operazione in Cisgiordania all’indomani del Trump Day
Difficile pensare sia un caso che la vasta operazione di sicurezza in Cisgiordania venga lanciata proprio all’indomani dell’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump, svolta che Netanyahu attendeva notoriamente da mesi. Il premier, secondo ricostruzioni accreditate dalla stessa stampa israeliana, ha dovuto “ingoiare il rospo” della tregua a Gaza, di fatto impostagli dal tycoon. Ma tutti gli osservatori sono convinti si sia assicurato di ricevere qualcosa in cambio. La mano libera sulla Cisgiordania rientra nello scambio? Di certo c’è che nella sventagliata di primi ordini esecutivi firmati ieri sera dal neo-presidente ce n’era anche uno assai gradito alla destra israeliana: la revoca di ogni sanzione ai coloni più estremisti che attaccano villaggi e residenti palestinesi in Cisgiordania. Segnale fin troppo chiaro, che s’aggiunge a quelli inviati da Trump già subito dopo la vittoria alle elezioni Usa, con la nomina di due uomini chiave: Mike Huckabee come nuovo ambasciatore in Israele, Steven Witkoff come inviato Usa in Medio Oriente. Il primo, ex governatore dell’Arkansas, cristiano evangelico, è un accanito sostenitore della causa di Israele: o meglio, dell’agenda espansionistica della destra messianica. Il secondo, ebreo newyorkese e immobiliarista, è un amico di lunga data di Trump senza esperienza diplomatica. Ancor prima di entrare in carica s’è dimostrato però suo perfetto alter ego nel portare tanto a Doha quanto a Gerusalemme il senso dell’«ultimatum» su Gaza, sino a strappare l’esito sperato giusto in tempo per l’Inauguration Day.
<January 20, 2025
Mano libera ai coloni: la destra sogna, l’Idf frena
«Il 2025 sarà per Israele l’anno dell’annessione di Giudea e Samaria», aveva esultato il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich all’indomani della vittoria di Trump. Ora è lui stesso a «rivendicare» l’avvio dell’operazione a Jenin quasi come una contropartita rispetto al cessate il fuoco a Gaza, che il leader di Sionismo religioso ha detto di aver accettato – a differenza di Itamar Ben Gvir, dimessosi – solo in cambio dell’assicurazione da parte di Netanyahu che «la guerra riprenderà». Su richiesta del suo partito, ha detto Smotrich, il rafforzamento della sicurezza in Cisgiordania è stato ora inserito tra gli obiettivi della strategia di guerra del governo. E gli insediamenti oltre la Linea Verde, in questo quadro, vanno considerati come una «cintura di sicurezza» per Israele. Non tutti nel governo israeliano concordano tuttavia su questa linea: anche perché la situazione è a un passo dal finire fuori controllo, per le stesse autorità dello Stato ebraico. Tra domenica e lunedì gruppi di coloni israeliani hanno dato l’assalto a diversi villaggi palestinesi, vandalizzando case e dando fuoco a edifici, macchine e negozi. A Jinsafut e Al-Funduq, lunedì sera, gli assalitori non si sono fermati neppure all’arrivo delle forze di sicurezza israeliane, con cui invece hanno ingaggiato battaglia. Negli scontri, secondo Ynet, almeno due persone sono rimaste seriamente ferite da colpi di arma da fuoco. Oggi il ministro della Difesa Israel Katz in Parlamento ha «condannato seccamente ogni forma di violenza contro i palestinesi» e annunciato l’apertura di un’inchiesta contro i responsabili degli assalti, che l’Idf ha assicurato «non consentirà più».
January 21, 2025
In copertina: Un’operazione dell’Idf nel campo profughi di Jenin – 31 agosto 2024 (Ansa-Epa/Alaa Badarneh)