Via gli Stati Uniti dall’Oms, quali rischi per la salute globale?
Nello Studio Ovale della Casa Bianca, il nuovo presidente degli Stati Uniti firma una delle decisioni cruciali per la gestione dell’intera salute pubblica mondiale. Il tycoon ha sigillato l’ordine esecutivo per l’uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Una messa in discussione totale della cooperazione mondiale nel settore sanitario che Trump aveva già ipotizzato ai tempi del suo primo mandato e che ora sembra essere deciso a concretizzare. Alla base una forte critica della gestione della crisi pandemica causata dal Covid e un attacco ancora più forte sulla garanzia di indipendenza fornita dall’ente sanitario, secondo Trump troppo subordinato al potere cinese, nonostante attualmente siano proprio gli Usa i maggiori finanziatori di progetti e attività intestati all’Organizzazione. Un passo indietro che ora preoccupa soprattutto per le conseguenze che la voragine creata dagli Stati Uniti potrebbe comportare a lotte decennali contro malattie ed epidemie.
Chi finanzia e chi decide
L’ente fondato nel 1948 ha il mandato di favorire una connessione tra gli Stati membri sulla complicata gestione delle questioni sanitarie, stabilire le linee guida fondamentali per il controllo delle principali emergenze globali. Compito dell’Oms è anche quindi quello di stabilire regole e modelli di politica sanitaria basati su dati scientifici che possano così facilitare le Nazioni ad affrontare le sempre più frequenti minacce per la salute pubblica. Non solo, è al centro dei finanziamenti per la ricerca medica, degli aiuti di emergenza da fornire ai Paesi in caso di calamità, dell’assistenza tecnica e della consulenza costante da garantire ai suoi attuali 194 membri. Obiettivi di vitale importanza per la salute pubblica e che continuano a rappresentare un baluardo da difendere.
Il peso dei soldi
Sui rapporti di forza interni pesa molto la leva economica: da un lato i contributi fissi, forniti dagli Stati membri con quote differenti a seconda del Pil nazionale e della popolazione; dall’altro i contributi volontari, elargiti da privati, fondazioni, istituzioni e organizzazioni internazionali. Una doppia fonte di sostentamento che non può non avere dirette ripercussioni anche sulle decisioni sanitarie: una buona parte dei fondi dell’Organizzazione attualmente sono infatti destinati a progetti specifici, stabiliti dai donatori. Il rischio è quello di perseguire obiettivi cari ai singoli che potrebbero non rientrare nelle reali priorità della salute globale. Gli ultimi dati disponibili risalenti agli anni 2018/2019 attestano come solo il 15.3% dell’intero bilancio dell’Oms provenga dai contributi obbligatori degli Stati membri. Questo vuol dire che circa l’80% dei finanziamenti e quindi dei progetti sanitari portati avanti sono nelle mani delle donazioni private e volontarie. Di fatto l’ente gestisce il 20% del suo budget complessivo, tutto il resto è destinato a progetti specifici. Al secondo posto della lista dei finanziatori compare un’organizzazione filantropica privata, la Bill & Melinda Gates Foundation che contribuisce per il 9,4% circa del bilancio totale. Una realtà che nel corso degli anni ha provocato non poche difficoltà di gestione per un’Organizzazione di fatto indebolita dai pochi fondi e che ha attirato forti critiche sull’operato.
Quali conseguenze per la salute?
Sulla base di quanto detto finora, l’uscita degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della Sanità rappresenta potenzialmente un elemento cruciale per stabilire il futuro della salute pubblica mondiale e gli interessi che guideranno le priorità sanitarie riconosciute. Il Paese guidato da Donald Trump è attualmente il maggiore finanziatore dell’Oms con 500 milioni di dollari di contributo. Tra il 2022 e il 2023 gli Usa hanno donato circa il 16% del bilancio totale. Un dato che in termini sanitari si è tradotto negli anni in un ruolo fondamentale nello stabilire le linee guida mondiali per la difesa della salute pubblica: all’indomani della tragica epidemia di Ebola nel 2014, sono stati gli Stati Uniti a spingere per l’istituzione di un piano operativo per le emergenze di salute pubblica. Gli esperti di politica sanitaria avvertono della grave incidenza di un passo indietro americano sulla salute mondiale. A rischio i progressi ottenuti nella lotta a malattie come la malaria, l’HIV, la tubercolosi. O ancora il programma per l’eradicazione della polio, di cui si è tornati a parlare tragicamente per i bambini di Gaza. L’abbandono degli Usa significherebbe per diversi casi sanitari spezzare una catena di collaborazione sanitaria globale a danno di milioni di persone. Senza contare l’indebolimento del potere di azione dell’Oms su territori in cui i singoli Stati non possono agire in autonomia: «Non ci si può presentare in Afghanistan dall’oggi al domani e iniziare a vaccinare la popolazione. In certe zone di guerra oggi l’Oms rappresenta l’unica presenza internazionale accettata», spiegano gli esperti di politica sanitaria globale su Nature. «Il Paese fornisce il 27% del budget dell’OMS per l’eradicazione della poliomielite; il 19% del budget per affrontare la tubercolosi, l’HIV, la malaria e le malattie prevenibili con i vaccini come il morbillo; e il 23% del budget per le operazioni sanitarie di emergenza. Se queste iniziative si riducono morte e sofferenza aumenteranno». L’impatto ovviamente sarebbe non da poco anche per gli stessi Stati Uniti. Oltre alle conseguenze sulla salute dei cittadini americani, si arriverebbe a spezzare anche quella fondamentale catena di scambio di dati scientifici tra Paesi, impedendo ad enti come i Centers for Disease Controlo and Prevention di accedere a cifre e monitoraggi di fondamentale importanza per l’interesse sanitario. L’indebolimento inoltre sarebbe anche in termini di struttura interna dell’ente. Quasi 200 epidemiologi, specialisti e membri dello staff dell’Oms provengono proprio dagli Stati Uniti.
L’alternativa americana
Lo sconcerto tra gli esperti di politica sanitaria era già arrivato all’annuncio del primo mandato Trump, quando il presidente inviò una lettera molto dura al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, minacciando di abbandonare l’Organizzazione «se non avesse dimostrato indipendenza dalla Cina entro 30 giorni». I leader dell’Oms avevano subito lanciato l’allarme per le ripercussioni che la decisione avrebbe potuto avere sulla recrudescenza di poliomielite e malaria, insieme ai danni provocati alle partnership scientifiche in tutto il mondo tenute in piedi proprio dall’Organizzazione. Ora la firma su un ordine esecutivo, e cioè su un documento su cui il presidente ha pieno potere senza dover passare dall’approvazione del Congresso. Con la firma di Trump il processo di uscita è ovviamente solo agli inizi: Il processo di uscita dall’OMS richiede comunque tempo e passi aggiuntivi: le norme prevedono che il Paese debba comunicare la decisione con un anno di preavviso e provvedere agli obblighi finanziari per l’anno in corso.
Le agenzie Usa
Ai tempi del primo mandato, quando l’uscita dall’Oms da parte degli Usa rimase solo una minaccia, Donald Trump aveva in parallelo assicurato che il governo degli Stati Uniti avrebbe continuato a finanziare la salute globale ma soltanto attraverso proprie agenzie e organizzazioni. Come riportato da Nature, la proposta del dipartimento di Stato degli Usa, riferita dalla piattaforma sullo sviluppo globale Devex, era stata quella di un investimento da 2,5 miliardi di dollari per un piano di super visione per le risposte nazionali e internazionali alle pandemie. Un disegno di legge presentato al Senato nel 2020 avrebbe autorizzato 3 miliardi di dollari per un Global Health Security and Diplomacy Act, un’iniziativa internazionale per contenere le epidemie, supervisionato da un nome scelto dalla presidenza degli Stati Uniti. «Sforzi positivi per combattere le pandemie, ma che non saranno sufficienti se non affiancati da un’Oms forte», spiega Amanda Glassman, storica ricercatrice senior del Center for Global Development con sede a Washington. «E questo perché occorrono molti anni e per costruire partnership sanitarie con i singoli Paesi e l’Oms lavora in alcune regioni in cui gli Stati Uniti non sono autorizzati a farlo».