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Separazione delle carriere, Di Pietro sta con Meloni: «È giusta, arbitro e giocatore non possono far parte della stessa squadra»

22 Gennaio 2025 - 14:14 Alba Romano
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Il pm di punta di Mani Pulite non risparmia critiche all'Anm: «Contro chi sciopera? Ormai ha un ruolo politico». Ma non nasconde il fastidio per l'accostamento della riforma a Berlusconi

«La sudditanza al potere politico dipende solo dall’animus del giudice o del pm». Antonio Di Pietro, ex pm di punta del pool di Mani Pulite, si schiera con il governo e a favore della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Se per l’Anm (Associazione nazionale magistrati) è una riforma che «isola e mortifica la funzione del pm», per Di Pietro è una misura assolutamente in linea con il dettato costituzionale. «Non è una dipietrata», ha detto in un’intervista a Fabrizio Caccia del Corriere della Sera. «È una naturale conseguenza dell’articolo 111». È proprio il testo – «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale» – che stabilirebbe la necessità di dividere le due figure.

La posizione di Di Pietro: «Carriere unite sono un controsenso»

«Le carriere unite significa che giudice e pm fanno parte della stessa squadra», ha spiegato. «È un controsenso: in una partita di calcio l’arbitro e il giocatore non possono far parte della stessa squadra». E a chi accusa la riforma di indebolire la figura del pm, Di Pietro risponde chiaramente: «Fake news, la riforma non modifica l’articolo 104 della Costituzione», che stabilisce l’indipendenza totale dallo Stato del giudice e del pm. Anzi, «secondo me il pubblico ministero avrà più poteri di prima».

La bordata all’Anm: «Rispetti le istituzioni. Sciopero? Scelta politica»

Alle parole di sostegno alla misura, Di Pietro alterna bordate all’Anm. Particolarmente violente quelle rivolte allo sciopero indetto dall’associazione per il prossimo 27 febbraio: «Nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, anziché uscirsene dall’aula con la Costituzione in mano, li inviterei piuttosto a rileggersela meglio, la Costituzione», ha attaccato l’ex pm. «Che si chiamino Giovanni, Maria, Franco o Michele sono istituzioni e girar loro le spalle è un’offesa». Immediato, qui, il paragone con la “civiltà” di Joe Biden nel recente passaggio di consegne al successore – e predecessore – Donald Trump.

La protesta è un’opzione che Di Pietro non sembra neanche prendere in considerazione: «Agli inizi del ’90 misi fuori dalla mia porta il cartello: “Qui non si sciopera”. L’ordine giudiziario è un potere dello Stato, sei già indipendente, contro chi scioperi?». In questo, Di Pietro vede l’assunzione di un ruolo politico: «L’Anm ormai ha correnti – destra, sinistra, centro – allora da organismo di cultura e sapienza si trasforma in una Terza Camera della repubblica, ma senza contrappesi. Per questo non mi sono mai iscritto all’Anm».

L’unico difetto: il nome Berlusconi

Unico difetto della riforma? L’associazione al nome di Silvio Berlusconi: «Un’appropriazione indebita, mi ha amareggiato. Che vuol dire che l’aveva detto Berlusconi? L’aveva detto pure Giovanni Falcone». Ma il nome Berlusconi non è una buona ragione per respingere in toto una riforma da lui giudicata giusta: «Mi è costato molto dover mantenere le mie posizioni a favore della separazione delle carriere quando qualcuno ha intestato la riforma a Berlusconi». Così come non lo è il fatto che Licio Gelli, «maestro» della Loggia P2, fosse favorevole alla separazione: «Se c’è un delinquente che dice qualcosa di condivisibile, mica puoi tagliargli la lingua perché è un delinquente».


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