Alessandro Grosso (Byd): «Nonostante i dazi apriamo nuove fabbriche in Europa. Meglio zero incentivi sull’elettrico che averli a singhiozzo» – L’intervista
Mentre l’automotive europeo affanna, c’è chi continua a veder crescere le proprie quote di mercato, rosicchiando sempre più terreno ai competitor e macinando record su record. È il caso del colosso cinese Byd, che ha chiuso il 2024 con 4,25 milioni di auto vendute nel mondo, in aumento del 41% rispetto all’anno precedente. Una crescita impetuosa, che presto potrebbe consentire a Byd di sfilare a Tesla il primato mondiale nella vendita di auto elettriche. Ora che le case automobilistiche del Vecchio Continente devono fare i conti con fabbriche che chiudono e vendite deludenti, il gruppo cinese con base a Shenzhen punta a sfondare anche in Europa. «Non siamo un costruttore di auto. Siamo una tech company leader nella produzione di semiconduttori e batterie», precisa in questa intervista a Open Alessandro Grosso, country manager di Byd in Italia.
Non sarete un costruttore di auto, ma a un certo punto avete iniziato a produrle anche voi.
«Nel 2003 è entrato anche il business automotive come derivato della tecnologia su cui già lavoravamo da anni. Adesso Byd vuole fare un altro salto: passare dall’essere leader incontrastato del mercato cinese a leader mondiale in tutti i continenti».
C’è chi dice che aziende cinesi come Byd siano cresciute a questi ritmi solo grazie ai sussidi statali.
«La nostra azienda ha oltre 112mila ingegneri nel mondo ed è quella che ha più contatti con le università che formano i dottorandi. Abbiamo 48 mila brevetti già registrati e ogni giorno ne registriamo 32 nuovi. Quando si entra nell’headquarter di Byd si respira un’aria di innovazione tecnologica che non si percepisce da nessun’altra parte. Vogliamo essere almeno 5-10 anni avanti rispetto alla concorrenza».
Qual è la strategia di Byd per espandere i propri affari?
«Oggi l’85-90% dei nostri volumi sono prettamente cinesi. Vogliamo arrivare a un 60% di vetture vendute in Cina e il restante 40% in altri mercati. In alcuni Paesi del Sud America siamo già market leader. In Europa abbiamo fatto dei balzi nei numeri e abbiamo raccolto 120mila ordini lo scorso anno. L’Italia, solo nell’ultimo trimestre, ha contribuito a farne più di 3.500».
Che impatto avranno i dazi dell’Unione europea sulla vostra attività?
«Alcuni concorrenti hanno avuto una frenata per via dei dazi. Noi invece abbiamo annunciato la costruzione di due stabilimenti europei: uno in Ungheria, che aprirà a fine 2025, e l’altro in Turchia. Inoltre, siamo tra le aziende che più hanno collaborato con l’indagine della Commissione e infatti abbiamo le tariffe più basse tra quelle implementate, insieme a Tesla. Questi dazi saranno solo un mal di testa di qualche mese, poi verranno dimenticati».
Come si spiega la crisi delle case automobilistiche europee?
«Negli ultimi anni ci sono state un’epidemia mondiale, una crisi di semiconduttori e due guerre. Tutti questi fattori sicuramente non hanno aiutato. Poi sicuramente hanno giocato un ruolo anche le scelte di management fatte dalle aziende, che in quel periodo hanno dato priorità ai margini di guadagno e non alla disponibilità dei semiconduttori o alla cura di tutti i clienti. Non posso dire se sia stato giusto o sbagliato, ma faccio notare che Byd negli ultimi tre anni è cresciuta da 1 milione a 4,2 milioni di veicoli venduti nel mondo. Non abbiamo avuto problemi di microchip perché ce li facevamo internamente».
E in Italia?
«Da noi la transizione sembra non esserci ancora. La quota di auto elettriche resta più o meno sul 4% del totale. I Paesi con mercati più evoluti – come Regno Unito, Francia e Paesi Bassi – hanno una penetrazione di elettrico importante, dovuta anche a una politica economica strutturale. In Italia, al contrario, abbiamo il modello del “click day”, che crea un effetto di attesa, un picco di vendite e poi di nuovo un calo. Bisogna rivedere completamente gli incentivi. Dal mio punto di vista, è meglio non averne che averne a singhiozzo».
Come si esce da questa situazione?
«Le leve, a mio avviso, sono tre. Innanzitutto, creare l’infrastruttura di ricarica. In secondo luogo, lavorare sulla ricarica domestica delle auto elettriche, che soprattutto al Sud può essere una soluzione. Poi c’è la questione dell’education: bisogna lavorare con i concessionari e capire quando un cliente è davvero elettrificabile e quando no. Detto questo, i costi delle vetture a batteria scenderanno, le tecnologie aumenteranno e questo porterà a una crescita organica dell’elettrico».
I grandi costruttori di auto europei sono destinati a perdere quote di mercato?
«L’ascesa di brand tecnologici come Byd fa sì che, anche in un mercato stabile come quello europeo, qualcuno cresca e qualcuno no. Noi prevediamo che non ci saranno impennate di mercato in Europa nei prossimi anni. Questo significa che qualcuno continuerà a perdere e altri, come Byd, continueranno a guadagnare».
Vi aspettate che l’elezione di Trump possa rallentare in qualche modo la transizione verso l’elettrico anche in Europa?
«Noi in Nord America non operiamo nella divisione autovetture, essenzialmente perché qualcuno ha deciso che le vetture non statunitensi non debbano essere presenti sul mercato. Detto questo, se un’azienda costruisce due stabilimenti in Europa e crea nuovi posti di lavoro, penso che bisognerebbe, non dico supportarla, ma quantomeno non ostacolarla. Ci sono brand che tagliano posti di lavoro e dismettono, altri che creano opportunità e costruiscono nuove fabbriche. Io mi guarderei bene dall’ostacolarli. In ogni caso, qualunque cosa succederà, la nostra direzione è abbastanza chiara: diventiamo europei nel giro di pochi mesi».
Quante auto puntate a vendere in Italia?
«In questo momento dare un numero è difficile, ma dobbiamo arrivare il prima possibile alle 20mila macchine per strada, che è considerata la soglia minima di visibilità di un brand. In Italia siamo ancora una start-up, ma abbiamo tutte le carte in regola per diventare un grande operatore. Per riuscirci lanceremo uno o due modelli nuovi ogni trimestre. In più, abbiamo chiuso il 2024 con 30 punti vendita e assistenza. Entro la fine del 2025, diventeranno 105».
Che ruolo avrà Byd nella transizione dell’Italia verso l’auto elettrica?
«Quello che Byd può portare sono prodotti tecnologici ed efficienti, che tendono ad abbassare il costo overall della vettura. Ma credo che Byd, più in generale, deve portare in Italia la cultura dell’elettrico, perché ce l’ha nel Dna. Con il supporto di player esterni, potremo aumentare la capillarità delle colonnine di ricarica e dei servizi di ricarica domestica».
Il governo italiano vuole arrivare a produrre un milione di veicoli all’anno. C’è l’ipotesi che Byd inizi a produrre auto in Italia?
«No comment».
Posso chiederle almeno se ci sono state delle interlocuzioni con il governo?
«Mettiamola così: gli stabilimenti in Ungheria e Turchia avranno una capacità produttiva di 500mila auto all’anno. Appena tutta l’Europa farà il salto per saturare quelle 500 mila unità e pagarci la luce e il personale di queste due fabbriche, qualcosa potrà cambiare. Byd non si mette mai limiti e il Sud Europa può essere una location perfetta per produrre nei prossimi anni».
Foto copertina: EPA/Cyril Zingaro