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Uto Ughi: «Quando hanno avvelenato il mio cane ho suonato per ore le marce funebri»

25 Gennaio 2025 - 06:50 Alba Romano
uto ughi
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Il violinista spiega perché quando suona si emoziona ancora: «È una componente importantissima dell’interpretazione, che altrimenti sarebbe soltanto pura tecnica, fredda»

Uto Ughi, 81 anni, stamattina suona in Vaticano per il Giubileo. E spiega che quando prende il violino in mano a volte avverte «una gran rottura di scatole, se non riesco a farlo perfettamente. Altre volte invece avverto l’euforia di una grande conquista. La musica per fortuna non contiene una sola emozione: c’è allegria, tenerezza, dramma. O estasi, come quando mi trovo davanti a una suite di Bach». In un’intervista al Corriere della Sera il virtuoso dice che si emoziona ancora: «È una componente importantissima dell’interpretazione, che altrimenti sarebbe soltanto pura tecnica, fredda».

Bruto Ughi

Nel colloquio con Giovanna Cavalli dice che con il suo vero nome, Bruto, non ha mai fatto pace: «Mi chiamarono come un mio zio appena morto ad El Alamein. Non mi piaceva. Ma non gli do importanza». E racconta del suo cane: «Un barboncino nero. Argo, come il cane di Ulisse. Il mio compagno di giochi. Quando è morto, avvelenato, è stata tra le più grandi sofferenze della mia vita. Quella notte ho suonato per ore la marcia funebre di Chopin e di Beethoven». E spiega che anche se la musica è sacrificio «non mi ha tolto nulla. Quando si ama qualcosa, lo si fa senza pensare. Se diventa una palla al piede allora è meglio smettere».

Esercitarsi

Spiega che «al massimo studiavo 3 o 4 ore al giorno, lasciandomi il tempo per leggere o viaggiare. I grandi concertisti avevano una disciplina quasi monacale. Oggi cinesi e giapponesi si esercitano anche 10 ore e non sbagliano una nota neanche se li ammazzi. Forse avrei dovuto essere anche io così, suonerei ancora meglio». Il violino, secondo lui, ha un’anima: «Tecnicamente l’anima è uno stecchino di legno messo dentro alla cassa. Da come è posizionato dipende il suono dello strumento». Da lì viene l’ispirazione: «L’ispirazione viene dall’anima, che è come il vento: non si sa da dove spira ma c’è. Una realtà invisibile e astratta che direziona il corso della vita. Il violino in fondo è solo un pezzo di legno. Se viene suonato male è come un gatto che miagola».

La gioia di suonare

E a suonarlo prova ancora gioia: «La musica è arte e condivisione, quando riesci a comunicare con il pubblico allora sei appagato. Ma in Italia oggi c’è poca cultura musicale, la gente è distratta, dopo una sonata già sbadiglia, allora l’entusiasmo si perde». Smetterà anche lui: «Quando mi accorgerò di non essere più in grado dirò basta». Adesso non sa se è felice: «Come si fa a misurarlo? Ci sono momenti di grande felicità e altri di amarezza, si equivalgono. Vedo in giro più gente infelice che felice, c’è troppo di tutto, non si ha più niente da desiderare».

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