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La dieta vegana e il rischio di mangiare più cibi ultraprocessati. Lo studio dell’Imperial college

26 Gennaio 2025 - 20:00 Gemma Argento
piatto di insalata verde con diverse verdure fresche
piatto di insalata verde con diverse verdure fresche
Ridurre o eliminare il consumo di carne dalla propria dieta rimane un passo favorevole per organismo e ambiente. Ma l’ultimo studio sul tema mette in guardia sulla crescita del consumo di cibi ultra processati

Ridurre il consumo di carne sì ma con saggezza. È quanto cerca di ribadire l’ultimo studio condotto dall’Imperial College London in collaborazione con l’Università di San Paolo in Brasile e l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro sul veganesimo, e cioè sulla scelta di un’alimentazione basata su risorse non provenienti in alcun modo dal regno animale. Pubblicata su The Lancet Discovery Science la ricerca fa ancora più luce su uno dei temi maggiormente discussi riguardo all’alimentazione vegana: quanto la motivazione etica, spesso alla base della scelta, è sostenibile anche per la salute dell’organismo? Una domanda in apparenza retorica, considerando i benefici scientificamente provati che la riduzione del consumo di carne riesce a portare al nostro organismo. Il rischio però è che favorendo un’alimentazione soprattutto priva di carne, si vada incontro a soluzioni alternative non meno pericolose per la salute. 

Ultraprocessati dietro l’angolo

L’ultimo studio a riguardo spiega come chi elimina la carne dalla propria dieta tende a consumare più UFP, letteralmente dall’inglese Ultra-Processed Food. Cibi cioè ultraprocessati non meno nocivi per la salute. Rientrano nella categoria tutti quegli alimenti che nella loro preparazione subiscono diversi processi di trasformazione industriale. «Lo spostamento dietetico verso più opzioni a base vegetale è sempre più popolare, ma la quantità di alimenti ultra-elaborati (UPF) che contengono è in gran parte sconosciuta», spiegano i ricercatori. L’analisi è stata condotta su diversi tipi di modelli dietetici: dai mangiatori regolati di carne rossa regolare a quelli a consumo contenuto, ai cosiddetti flexitariani, con un’alimentazione semi-vegetariana e una presenza di carne ancora più ridotta, fino a vegetariani e vegani. Al di là dell’immaginario collettivo, che soprattutto per i vegani ipotizza uno stile di vita più salutare rispetto a tutti gli altri modelli con un consumo di carne più elevato, la ricerca ha appurato l’elevata presenza di cibi ultraprocessati in tutti i tipi di dieta menzionati, con una percentuale oltre il 20% dell’assunzione alimentare giornaliera e più del 46% dell’apporto energetico giornaliero dei partecipanti allo studio. Non solo. Gli studiosi hanno rilevato come il consumo di UFP tra i vegani fosse in media più alto rispetto ai cibi non processati, e che non si discostasse dai livelli dei consumatori regolari di carne rossa, superandoli addirittura di circa 1,3 punti percentuali. Stesso fenomeno registrato anche paragonando il consumo di UFP tra i mangiatori di carne rossa e i flexitariani e i pescetariani, quest’ultimo il regime che invece sceglie una serie di prodotti ittici come principale fonte di proteine da assumere. «I flexitariani e i pescetariani», spiega il documento, «consumano il +0,8% di UFP rispetto ai consumatori regolari di carne rossa».

A quali cibi stare attenti? L’alert sulle malattie cardiovascolari

Per chi sceglie una dieta a zero consumo di carne, il mercato alimentare propone spesso forme sostitutive di cibi come hamburger e crocchette vegetali, formaggi e latticini vegetali, pizze vegane surgelate, focacce e snack confezionati, tutti sottoposti a numerosi processi industriali che ne alterano l’origine. Nella maggior parte dei casi si parla di numerosi ingredienti aggiunti come coloranti, additivi, zucchero o sale, con una vera e propria trasformazione subita da sostanze come amidi e grassi che da semplici vengono rielaborati chimicamente. A questo proposito la ricerca dal titolo Implicazioni dell’ultra-trattazione alimentare sul rischio cardiovascolare considerando gli alimenti di origine vegetale pubblicata su The Lancet ha fatto luce sulla stretta relazione tra gli alimenti di origine vegetale e l’impatto sulle malattie cardiovascolari. Nei partecipanti allo studio che hanno consumato alimenti ultra processati di origine vegetale, è stato registrato un aumento del 5% del di sviluppare malattie cardiocircolatorie come infarti o ictus, e una mortalità maggiore del 12% associata a questi eventi.

La scelta vegana, impennata in Italia

Le evidenze scientifiche sul tema ovviamente non mettono in dubbio la validità di modelli dietetici a base vegetale ma pongono una grossa attenzione su quanto le scelte sostitutive di carne e derivati animali possano non essere salutari come si pensa. Dal 2015 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato la carne rossa un alimento potenzialmente cancerogeno, con una certezza del rischio invece per la carne lavorata a livello industriale. Da qui l’impennata negli ultimi anni di scelte alimentari da parte della popolazione mondiale sempre più incline a ridurne il consumo. Solo in Italia, nel 2024 si è registrato un grosso aumento di vegani e vegetariani: secondo i dati Eurispes dal 6,6% del 2023 al 9,5% del 2024. 

Foto in evidenza: Kaboompics.com

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