La scrittrice Alice Basso, l’autismo e l’Adhd: «La diagnosi? Ti mette il bollino»
La scrittrice Alice Basso vende mezzo milione di copie. Classe 1979, nata a Milano ma torinese d’adozione, il suo ultimo romanzo si chiama Le ventisette sveglie di Atena Ferraris. La protagonista scopre di essere autistica. Come è successo a lei: «L’episodio scatenante, una specie di epifania, accade nel 2021. Una mia amica fotografa mi dice con nonchalance: “Questa estate ho fatto una scoperta che mi ha cambiato la vita e le prospettive: sono autistica”. Io la guardo e penso: com’è possibile capirlo a quarant’anni? E lei mi dice: “Non hai idea quante persone, soprattutto donne, arrivano tardi alla diagnosi, spesso gli psicologi le scambiano per depresse e danno loro gli psicofarmaci”».
L’autismo
«Quella conversazione mi ha aperto un mondo, ho iniziato a studiare, a rompere le scatole ai miei amici, ancora se lo ricordano quel periodo. Chiedevo a tutti di sottoporsi ai test preliminari», racconta. In quelli che ha fatto lei «è risultato che potrei essere sia Adhd (deficit da attenzione) che lievemente autistica. Per esserne sicura dovrei continuare il percorso diagnostico, affidandomi ai professionisti, ma non l’ho ancora fatto: la diagnosi vera e propria ti mette il bollino. Un’amica che lo ha fatto mi ha detto: “A un certo punto non ero più convinta di saper guidare la macchina, anche se lo faccio da quarant’anni…”. Ma prima o poi lo farò: saperlo sarà una liberazione». Adesso «mi hanno fatto notare che quel “se non vi spiace preferirei non dirlo” può suonare come “ho paura o vergogna di ciò che dovrei svelare di me”; proprio il contrario del senso del libro! Quindi ora parliamone pure».
Adhd
Tra i sintomi sente dentro di sé di avere «Dell’Adhd il trovare strategie speciali per memorizzare le cose, gestire il tempo, portare a termine i compiti; la necessità di avere stimoli “nuovi”; l’iperfocus quando incappo in un interesse o attività che diventa totalizzante. Dell’autismo le difficoltà sociali, il non reagire con spontaneità ma l’affidarsi ai cosiddetti copioni: l’autismo “di livello 1”, a bassa necessità di supporto, è il più facile da mimetizzare». Questa cosa «si chiama proprio masking . Vuol dire che a furia di “fare” la persona normale a un certo punto fare la cosa “giusta” diventa un’abitudine».
Già da giovanissima, ricorda, «mi capitava di uscire in gruppo e di non dire una parola: così ho imparato a capire l’umorismo, a essere divertente, a prepararmi le battute, per non essere fuori luogo come un tonno. A scuola sono sempre stata brava: per riuscire a concentrarmi andavo a caccia della notizia in più, dello stimolo in più. Ho avuto una fortuna infinita che è stata la mia famiglia, super supportiva. Tutti gli strumenti di cui avevo bisogno per approfondire, interessarmi, divertirmi, mi venivano forniti in tempo zero. Il bello di essere figli unici».
L’università
All’università «mi sono laureata in Storia alla Normale di Pisa: in tempo, in fretta, con voti alti. Ho dovuto fare un grandissimo lavoro per riuscirci, e col senno di poi ho capito di aver “strategizzato” tantissimo. Ad esempio, con un modo di prendere appunti incredibilmente raffinato; scrittura minuscola, scelta dei colori, era tutto un sistema che mi sono organizzata da sola, senza sapere di averne bisogno». Delle neurodivergenze, dice «il fatto che se ne parli fa sembrare che siano sdoganate, ma non in tutti gli ambienti è così. Comunque sì, la situazione è migliorata: sappiamo che siamo tutti diversi, tutti stranieri. Poche storie». Infine, dice a Claudia Morgoglione di essersi preparata per l’intervista: «Certo. Le mando via mail le domande e le risposte che avevo già scritto: le usi pure come vuole». E la giornalista ne ha effettivamente inserito qualche passaggio.